Strano e contraddittorio destino di Cristoforo Colombo, personalità ponderata e messa in discussione. Prima, per essere stato il protagonista di un avvenimento di rilevanza storica quale la scoperta del nuovo continente, e poi accusato di complicità negli abusi commessi contro i popoli originari, al punto di definire quella che prima veniva considerata gesta, come “colonizzazione infame”. Come in tante città nel mondo, anche Buenos Aires ha la sua statua in ricordo di Colombo la quale, come è noto, fu eretta grazie ad una raccolta popolare di fondi della comunitá italiana locale, un dono fatto all’Argentina in occasione delle celebrazioni del Centenario della “Revolución de Mayo de 1810”, inizio dell’emancipazione argentina. L’opera, commissionata allo scultore fiorentino Arnoldo Zocchi, inaugurata nel 1921 si trova dietro alla famosa Plaza de Mayo, uno spazio nel quale tradizionalmente la nostra collettività si radunava per rendere omaggio al grande “navigatore genovese”. Una tradizione che purtroppo si è interrotta nel 2006, quando il governo della città trasferisce su richiesta di quello nazionale, la statua, la piazza e le adiacenze, che entrano a far parte dei giardini privati e dello spazio di sicurezza della Casa Rosada. Una decisione che per l’illustre opera d’arte significò l’inizio di una serie di peripezie, successivi oltraggi, dall’esproprio alla “prigionia” e ora la prospettiva tutt’altro che incerta dello sgombero. Una storia che, a prescindere della sua gravità, può essere letta anche in chiave umoristica, nella quale il personaggio “monumento” fa parte di una classica “commedia all’italiana”.
Una sceneggiata in tre atti. Il primo: chissà in base a quale strana elucubrazione burocratica, lo Stato argentino espropria la scultura che in definitiva è di due proprietari: dal punto di vista legale la Città Autonoma di Buenos Aires e dal punto di vista morale l’intera collettività italiana che lo ha donato.
Il secondo, in cui, “Colombo”, per allegate ragioni di sicurezza, viene confinato dietro alle sbarre, rinchiuso da un’altissima e lunga inferriata che circonda tutta la piazza. Una prigione nella quale non sono consentite le visite, il divieto di accesso per rendere omaggio al grande genovese, nemmeno per portare le solite corone di fiori. Al riguardo bisogna chiedere la rispettiva autorizzazione che, per ragioni diverse e sempre creative, viene ogni volta respinta.
Il secondo atto della commedia ha il suo momento più significativo quando in uno dei tanti 12 ottobre a causa di certa confusione, e nel deporre i fiori, si presenta la polizia, sequestra le corone e “invita ” i responsabili (i nostri dirigenti) ad “accompagnarli” per finire quasi in galera, nella Casa Rosada, per spiegare di cosa si trattava la manifestazione!
Il terzo – e per adesso ultimo atto di questa messinscena – si svolge nel momento attuale in cui viene presentato l’ordine di sfratto e di spostamento del monumento verso Mar del Plata, cittá situata sulla costa dell’oceano Atlantico, ambiente aggresivo per i materiali adoperati, particolarmente per il marmo di Carrara.
Anche se l’annuncio desta sconcerto e scalpore nella nostra collettività e nella società tutta, ci si interroga sulle ragioni che hanno portato alla sbalorditiva decisione. C’è chi suppone che lo sfratto sia dovuto alla scadenza del contratto di locazione, chi alla mancanza di pagamento o all’uso disonesto o abusivo dello spazio nella piazza, infrazioni delle quali, certamente “l’inquilino Colombo”, non è responsabile. Invece a quanto pare lo “espulsione express” è dovuto esclusivamente a una decisione di Cristina Kirchner, un altro della serie dei “mille e un capricci” che vengono attribuiti alla “Signora” che apparentemente non gradirebbe l’immagine del “descubridor de America”, che vedrebbe dal suo studio nella Casa Rosada, e al suo posto preferisce a Juana Azurduy, guerriera dell’Indipendenza nata nell’attuale Bolivia, promossa colonnello dell’Esercito Argentino dalla Presidenta e che il presidente boliviano Evo Morales finanzierà con un contributo di un milione e mezzo di dollari.
Vedere la “nostra” scultura circondata da impalcature e coperta, come se fosse imminente l’opera per smontarla e mandarla via, ci fa ricordare un antecedente poco noto, quello di un’altra statua di Colombo. Si tratta di quella che viene considerato la prima innalzata in America, commissionata da Agostino Pedemonte, un emigrante genovese che costruì una grande fortuna e volle rendere omaggio al suo corregionale. L’opera dello scultore milanese Ettore Bocacci, fu posta dapprima nella villa di Pedemonte a Bernal, cittadina poco distante da Buenos Aires, dove fu inaugurata l’8 dicembre 1889. Poi fu donata alla comunità, nel 1921 ma nel 1947 fu spostata in un posto più centrale di Bernal. Oggi si parla di spostarla non lontano, perché dove si trova adesso vorrebbero costruire un sottopassaggio.
I DILEMMI DEI NOSTRI DIRIGENTI In questa storia, dal trasferimento del possesso del monumento fino a quello che sembra un imminente sgombero, l’atteggiamento dei nostri dirigenti è stato di passiva, rassegnata accettazione dei fatti compiuti e anche adesso, al di là dei comunicati, non si annunciano ulteriori reazioni. Si tratta di una sfida per le nostre istituzioni rappresentative: rappresentanti diplomatici, Comites, Cgie, Feditalia, Fediba, per i nostri parlamentari, e persino per tanti personaggi che abbiamo nominato ”ambasciatori dell’Italianità”, o di altri che sono comparsi per le elezioni e poi spariti come al solito. Manteniamo ancora le nostre attese di una reazione massiccia. I romani, nel solco della loro ultra bi-millenaria cultura, dicono: "Quando ce vò ce vò”. Quindi diventa necessario convocare la comunità a manifestarsi, perfino facendo ricorso ad un modo di protesta di moda in questi tempi: dal “piquete” al girotondo tenendosi per mano, una “catena umana” attorno alla piazza per finalmente occuparla, allestire una tenda in mezzo alla Plaza de Mayo con davanti un grande striscione: “Ridateci Colombo!”.
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