Chi dice che i ‘fatti sono maschi e le parole femmine?’. Forse per alcuni può essere una sorpresa, ma, scritto in un italiano solo leggermente imperfetto, almeno oggi (ma risale a quasi quattrocento anni fa), ‘Fatti Maschii, Parole Femine’, quelle quattro parole rappresentano il motto dello stato del Maryland, l’unico, dei 50 che compongono gli USA, ad avere la frase che lo caratterizza in lingua italiana. E non è stato un tributo all’emigrazione italiana che specialmente a Baltimore ha avuto una storia importante, ma per ritrovare le radici di quel motto, certo che sicuramente non piacerà alle rappresentanti del sesso femminile, si deve andare indietro nel tempo, e tanto. Si narra che il motto, prima di arrivare al Maryland, lo attribuì, alla propria famiglia George Calvert, il primo barone di Baltimore, colui che aveva fondato la colonia del Maryland (la terra di Maria) e si dice anche che nel 17º secolo fosse un detto molto popolare in Inghilterra. George Calvert, nato nel 1579 e morto nel 1632, era un politico inglese e un colonizzatore che diede inizio alla dinastia dei baroni di Baltimore. Raccontato questo fatto, l’inizio della storia del Maryland, unico stato degli USA con un motto italiano, gli storici hanno poi trovato ancora importanti legami tra quella parte d’America, che poi solo dalla fine dell’800 fu meta della grande emigrazione italiana, e il nostro Paese. L’unicità del Maryland infatti va oltre anche al motto: è l’unico stato che ebbe come firmatario della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti, un discendente di italiani.
William Paca, nato il 31 ottobre 1740 a ‘Wye Hall’ vicino ad Abingdon, Queen Anne (ora Hartford) County, nel Maryland, frequentò il Philadelphia College e poi più tardi studiò legge ad Annapolis, sempre nel Maryland, e quindi a Londra. Tornò poi nella città dove aveva studiato per esercitare la professione di avvocato. Divenne membro della assemblea provinciale e quindi del Continental Congress, dal 1774 al 1779 e durante quel tempo fu il firmatario della Dichiarazione d’Indipendenza. Successivamente fu anche senatore, poi dal 1778 al 1780 fu Capo di Giustizia della Corte d’Appello e quindi dal 1782 al 1785 Governatore del Maryland. Nel 1778 fu un delegato dello State Convention che ratificò la Costituzione Federale e il Presidente George Washington lo nominò giudice della Corte degli Stati Uniti per il Maryland.
Avrebbe potuto vivere agiatamente William Paca, ma preferì dedicarsi interamente alla grande causa di quei giorni, opponendosi all’oppressione britannica, guidando anche una protesta ad Annapolis per dimostrare contro l’oppressione fiscale. Ecco la breve biografia di uno dei padri degli Stati Uniti, un patriota, un nome che ha scritto la storia d’America e che supportò, anche con il proprio denaro, l’esercito durante la guerra. Ma William Paca non fu solo tutto questo, era anche discendente di una famiglia italiana. Il primo ad arrivare, a metà del ‘600 fu Robert Paca che nelle colonie ci giunse passando dall’Inghilterra, dove si era sposato con una donna inglese, poi una volta nel ‘nuovo mondo’ ricevette la terra in Anne Arun del County ed ebbe un figlio, che chiamò Aquila, e che poi non era altro che il nonno di William. Per diverso tempo però gli studiosi furono divisi sulle matrici della famiglia Paca, fino a quando Giovanni Schiavo, profondo conoscitore della storia degli italo-americani, nel 1937 confermò che le origini della famiglia si dovevano ricercare proprio in Italia, immediatamente poi appoggiato nella sua asserzione da William S. Paca, pro-pro-pronipote del patriota William, che scrisse una lettera al New York Times per confermare la versione e ribadire quel legame indissolubile, e orgogliosamente portato avanti per alcune centinaia di anni, con l’Italia. Un patriota di origini italiane William Paca, che, durante le celebrazione del Bicentenario dell’Indipendenza, l’Encyclopedia Americana celebrò con queste parole: ‘Diede generosamente la sua ricchezza e la sua influenza alla causa della Rivoluzione e più di qualsiasi altra persona nel Maryland superò l’opposizione alla causa’.
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