Roma – “Sulla questione del contributo per l’ottenimento della cittadinanza sono state avanzate sterili polemiche”. Secondo il senatore eletto all’estero, vicepresidente vicario del gruppo Per L’Italia, Aldo Di Biagio, “la cittadinanza non può essere semplicemente un atto dovuto, solo per una mera questione di ius sanguinis”. “Chiedere un contributo per sostenere la gestione di una pratica amministrativa non è eccessivo, soprattutto se si considera la situazione che il Paese sta attraversando”.
Senatore Di Biagio, sta scatenando molte polemiche l’introduzione di una tassa di trecento euro per la richiesta della cittadinanza italiana. Si unisce al coro?
“No, al contrario. Ho trovato molto sterili le polemiche sul contributo dei trecento euro per l’ottenimento della cittadinanza, fatte da qualcuno che probabilmente aveva poco da dire. Ritengo possa considerarsi pragmatica l’idea di versare un contributo maggiorato le cui risorse potrebbero essere reinvestite in progetti e iniziative a tutela dei connazionali all’estero, risolvendo anche questioni delicate come l’annoso problema delle file per chiedere i servizi presso alcuni consolati, che trovo vergognose. Credo inoltre che, considerando le note difficoltà dell’Italia, sia legittimo chiedere di compartecipare alle spese da sostenere per l’espletamento di una pratica amministrativa. Inoltre, non ho mai condiviso l’idea che l’acquisizione della cittadinanza sia un atto dovuto solo per una troppo ortodossa applicazione del principio dello ius sanguinis. Non è così. La cittadinanza è dovuta, certo, ma solo a chi dimostra di amare questo paese, anche con i fatti concreti. Credo che anche questo contributo si possa considerare un gesto di attenzione verso l’Italia necessario per l’ottenimento della cittadinanza, così come già accade, ad esempio, con altri aspetti essenziali come la dichiarata conoscenza della lingua. Giudico molto retorica l’idea che la cittadinanza ti appartenga a priori, bisogna anche essere pronti a sacrificare qualcosa per essa, bisogna in qualche modo meritarsela”.
Quindi i trecento euro rappresentano un parametro per misurare chi può chiedere la cittadinanza?
“No, i trecento euro non sono un parametro o uno strumento di misurazione del grado di attenzione verso il Paese. Ma, obiettivamente, chiedere un contributo per sostenere la gestione di una pratica amministrativa non è eccessivo, soprattutto se si considera la situazione che il paese sta attraversando ed il generale incremento degli oneri connessi al disbrigo delle pratiche amministrative. All’estero abbiamo tanti connazionali che stringono i denti e si sacrificano pagando tasse non giuste. Mi riferisco alla Tasi e all’Imu, che molto spesso abbiamo segnalato come forme di eccessiva vessazione finanziaria da parte dei comuni nei riguardi dei nostri connazionali. Queste tasse sono sbagliate, ma gli italiani stanno ugualmente dando il loro contributo per tirare fuori l’Italia da questo momento di difficoltà”.
È come dire che, se alcuni pagano l’Imu, allora altri possono pagare la cittadinanza.
“No, non è affatto questo il ragionamento alla base, né è questo l’elemento centrale della questione. Le tasse sono solo un esempio. Il contributo che viene richiesto per la cittadinanza è totalmente diverso, in quanto rappresenta una contributo amministrativo finalizzato al disbrigo delle relative pratiche per l’ottenimento della cittadinanza, ed il suo incremento, introdotto proprio nell’ambito del dl irpef della scorsa settimana, è orientato a fornire maggiori risorse alle nostre strutture consolari migliorando, nel contempo, l’erogazione dei servizi presso queste e snellendo le file in loco”.
Che cosa prevedono le quattro proposte emendative che ha presentato in commissione Affari costituzionali per la permanenza della rappresentanza estera?
“Si tratta di quattro proposte, compatibili con altrettanti modelli di rappresentanza parlamentare, attraverso le quali pongo implicitamente una volontà molto chiara: rimarcare l’esigenza di veder riconosciuto in ogni contesto ed indipendentemente da quello che sarà il modello di rappresentanza parlamentare che verrà definito in Commissione, un ruolo della rappresentanza all’estero”.
Che senso avrebbe ripetere la circoscrizione estero in entrambe le Camere, se la riforma nasce proprio per differenziarle?
“La presenza di una rappresentanza della circoscrizione estero in Senato è necessaria proprio per non venire meno all’indispensabile rappresentanza che spetta a questo territorio. Proprio in questo senso vanno intesi i miei quattro emendamenti che non sono stati pensati per evidenziare il ruolo elettivo ma, al contrario, quello della rappresentanza, e questo è l’elemento che andrebbe a differenziare la configurazione costituzionale tra le due camere. Per questo motivo sono fermamente convinto che sia giusto e necessario garantire la circoscrizione estero in ogni circostanza e in ogni caso, anche se dovessimo avere un Senato che non sarà eletto, anche perché proprio il fatto che una ‘regione’ extra nazionale come la Circoscrizione estero sia presente attraverso dei referenti eletti alla Camera, ma non sia minimamente rappresentata al Senato si configura come un evidente vulnus costituzionale che renderebbe illegittimo il prodotto di questo iter legislativo”.
Dopo l’intervento di Mario Giro al Cgie aveva dichiarato di non condividerne alcuni punti. Quali?
“No, non è così. Nutro grande considerazione e stima nei riguardi di Mario Giro e sono molto soddisfatto che le deleghe relative agli italiani nel mondo gli appartengano. Proprio in considerazione della sensibilità che ha sempre dimostrato nei confronti della circoscrizione e delle sue capacità, sono sicuro che potrà fare un buon lavoro, ottenuto anche attraverso l’ascolto e l’attenzione verso i territori e le comunità. Non posso non evidenziare, inoltre, che siamo nella stessa lista e questo, per me, è un ulteriore elemento di garanzia. In quella circostanza, in realtà, era semplicemente mancata la dovuta informativa sul risultato della mozione tra diversi referenti del MAE, forse a causa dei tempi repentini di quest’ultima”.
A proposito della sua lista, il senatore Maurizio Rossi, lasciando Per l’Italia per passare nel gruppo misto, ha dichiarato: “Pensavo di entrare in un gruppo di dodici senatori che, nella loro eterogeneità, poteva trovare un equilibrio, invece ha prevalso la rincorsa al partito vincente e al sostegno al governo a tutti i costi”. Ancora secondo Rossi, “nel disastro dei partiti, non sanno nemmeno loro quale strada imboccare”.
“È una sua opinione. Il nostro gruppo ha ampiamente dimostrato la sua capacità di essere molto eterogeneo, ognuno di noi ha sempre agito secondo la propria coscienza e le proprie convinzioni, una cosa certo non comune negli altri gruppi parlamentari. Il senatore Rossi ha preso questa scelta nell’interesse della sua regione, condivisibile o meno. Personalmente non condivido le sue parole, perché in un gruppo le strategie vengono definite dalla maggioranza: è la prima regola della democrazia. Evidentemente il senatore aveva bisogno di trovare una motivazione alle sue scelte personali”.
All’indomani delle elezioni europee aveva parlato di una “debacle” di Scelta europea che aveva posto fine a un progetto nel quale aveva creduto “a causa dell’arroganza e dei personalismi di chi sembra aver perso il contatto con la realtà”.
“E’ una debacle che non mi appartiene e non è certo stata inaspettata. Per me quel progetto era già morto da tempo proprio a causa di quel motivo al quale ho accennato più volte pubblicamente. Ho detto solo ciò che pensavo, non si è trattato di uno sfogo dato dall’amarezza all’indomani delle elezioni ma, al contrario, di una riflessione ragionata e scaturita da una profonda consapevolezza della realtà”.
A chi si riferisce quando parla di “arroganza e personalismo”?
“A nessuno in particolare, esisteva un segretario di partito al quale ho avuto modo di comunicare ed evidenziare tutto ciò. Di fatto, è stato anche questo il motivo per cui ho assunto la decisione di unirmi agli altri della mia lista”.
La sua storia politica si è sviluppata tutta all’interno del centrodestra italiano. Quale futuro intravede oggi, con un centrodestra in crisi di voti e consensi?
“Ho sempre seguito una mia precisa idea di politica e mi sono unito a quei contenitori politici, poiché oggi è più idoneo parlare di contenitori piuttosto che di partiti, nei quali le mie idee potevano collimare. Quando ci siamo trovati di fronte all’impossibilità di condividere valori e prospettive comuni, ognuno ha preso la sua strada. Oggi c’è uno spazio importante nel centrodestra, ma la realtà politica che io immagino ha il coraggio e la voglia di comprendere che non si può rimanere fuori da questa stagione di grandi riforme”.
Quali riforme, in particolare?
“Bisogna lavorare in un governo di riforme condivise. I temi all’ordine del giorno sono tanti, non ultima la questione morale. Credo sia necessario ripartire dalle primarie e dai consensi interni, è arrivato il momento di dire basta ai partiti con proprietari. Immagino e desidero un centrodestra che si ispiri al popolarismo europeo, degno rappresentante del pluralismo d’Italia e in grado di contrapporsi a un centrosinistra protagonista di un percorso di rinnovamento che non si può trascurare. Questo per restituire un equilibrio nell’alternanza politica”.
Rimanendo sul tema delle riforme, il Parlamento riuscirà nell’impresa di modificare il voto estero? Registra attenzione verso il tema?
“Proprio perché stiamo attraversando una grande stagione di riforme non sappiamo ancora quali saranno le decisioni avanzate sul tema. In questo senso, la nostra risposta come eletti deve consistere nel fare delle proposte in base a ciò che emergerà. Dobbiamo saper reagire prontamente, e questa consapevolezza mi ha portato a presentare i quattro emendamenti al ddl di riforma costituzionale”.
Capitolo Comites, è realistico pensare che le elezioni avverranno entro quest’anno?
“È ciò che auspico, anche per rispetto della nostra rappresentanza. Qualora, però, si presentasse la possibilità di una riforma complessiva, sarà necessario valutare l’ipotesi di un rinvio, anche di breve periodo, per integrare le elezioni con quelle stesse riforme che saranno attuate”.
Quali sono, infine, le aspettative verso il Ctim?
“Credo che si stia vivendo una stagione di grande rinnovamento anche all’interno del Ctim. Stimo molto Roberto Menia e apprezzo il suo lavoro. Sono convinto che farà del bene. Non ho alcuna ambizione personale, se non quella di rinnovare la piena disponibilità a questa struttura che rappresenta una delle più belle eredità lasciateci da Mirko Tremaglia”.
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