Sallusti condannato a qualche mese di carcere. Non saranno quattordici, poco cambia. Anche un solo giorno basta per vergognarsi dello stato comatoso dell’Italia. Fa bene il direttore dimissionario del Giornale – all’epoca al vertice di Libero – a scrivere che questo non è un problema suo, ma del Paese; una nazione che bolle in un brodo di qualunquismo e di giustizialismo, dove la colpa è sempre degli altri, nemici a prescindere. Sallusti tira fuori i coglioni, e lo fa davvero, non a chiacchiere: basterebbero due righe ed un imbarazzatissimo giudice rimetterebbe la querela, una riga e un costernato Presidente della Repubblica concederebbe grazie a gò gò.
No, niente di tutto questo, il direttore decide di accettare la strada che l’(in)giustizia italiana ha deciso con tanto di sentenze, bolli, premesse. Ma quello che rimane è che il direttore di un giornale viene processato e condannato per un articolo a firma non sua, che esprimeva, certo a tinte forti, un’opinione circa un dramma personale come è l’aborto. Eppure i giornali dovrebbero avere proprio questa funzione, stimolare il dibattito, la riflessione; e la provocazione è uno strumento essenziale per andare oltre la consueta fiera delle banalità. Se qualcuno si è sentito offeso esistono, o meglio dovrebbero esistere, strumenti civili per risarcire il danno. Il termine civile non va inteso solo in riferimento all’ambito civilistico, nel quale andrebbero circoscritti i processi, ma anche e soprattutto pensando alla civiltà di una nazione che fu, nel passato molto remoto, la culla del diritto. Il diritto di rettifica, di risposta, il risarcimento del danno: sono gli strumenti giuridici naturali per rispondere a eventuali
diffamazioni. Lo strumento penale apre lo spazio a un’azione coercitiva preventiva nei confronti della libertà di espressione. Che appare ancor più violenta quando la persona offesa abbia vinto il concorso in magistratura. In questi casi, la giustizia diventa un treno ad alta velocità, un pendolino super rapido. L’Italia, gli italiani dovrebbero, una volta e per sempre, fermarsi a riflettere. Sul serio. Questo Paese è da rifondare. In tutto e per tutto.
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