Vince l’Italia del calcio, che domina sul campo a Kiev e batte ai rigori l’Inghilterra, e quella della F1, con la Ferrari nel posto più alto del podio, dopo una gara-capolavoro di Alonso a Valencia. Perde invece l’Italia dei fattacci reiterati che adesso si chiamano Lusi e Formigoni, quella del voto per abolire le province sarde “minori”, reso unitile, almeno fino al prossimo febbraio, dalla burocrazia e ancora quella della stucchevole e risaputa danza di una politica che si avvita su se stessa, col Pdl diviso sulla leadership, il Pd che non sa se continuare a sostenere Monti e la “new entry” Grillo, che fa dichiarazioni, a dir poco imbarazzanti, ad un giornale israeliano, creando non poco scompiglio in quel Paese (e non solo).
Beppe Grillo e la politica estera in una lunga intervista al più diffuso quotidiano israeliano, Yedioth Ahronot, con il leader anti-casta che s’avventura su un terreno per lui insolito come il Medio Oriente. Circa i massacri in Siria dice: “Ci sono cose che non possiamo capire. Non sappiamo se sia una vera guerra civile o si tratti d’agenti infiltrati nel Paese”. Poi aggiunge, lui che ha una moglie iraniana, che circa Ahmadinejad: “Un giorno ho visto impiccare una persona, su una piazza di Isfahan. Ero lì. Mi son chiesto: cos’è questa barbarie? Ma poi ho pensato agli Usa. Anche loro hanno la pena di morte: hanno messo uno a dieta, prima d’ucciderlo, perché la testa non si staccasse. E allora: che cos’è più barbaro?”
E sui diritti delle donne in quella Nazione, aggiunge: “Mia moglie è iraniana. Ho scoperto che la donna, in Iran, è al centro della famiglia. Le nostre paure nascono da cose che non conosciamo”. E continua affermando che l’economia iraniana va a gonfie vele e suggerendo che il problema Bin Laden è stato solo di “traduzione”. “Quando uscivano i discorsi di Bin Laden, mio suocero iraniano – ha detto – m’ha spiegato che le traduzioni non erano esatte…. Perché, nessun dubbio, c’è una lobby ebraica che controlla il sapere: tutto quel che in Europa sappiamo su Israele e Palestina, è filtrato da un’agenzia internazionale che si chiama Memri. E dietro Memri c’è un ex agente del Mossad. Ho le prove: Ken Livingstone, l’ex sindaco di Londra, ha usato testi arabi con traduzioni indipendenti. Scoprendo una realtà mistificata, completamente diversa”.
Interrogato su casa nostra, non prima di aver ribadito la sua prossimità con i Pirati tedeschi e gli Indignados spagnoli, “anche se noi non ci siamo scontrati con la polizia”; prima dribbla la domanda sull’uscita dall’euro (“studieremo l’argomento”), poi confida di sentirsi europeo, ma “come gli inglesi, senza stare per forza nella moneta unica”.
Infine dice che “Monti sta facendo il lavoro sporco, ma sulla casa e con la riforma del lavoro sta colpendo duro”.
Da ultimo promette che non farà mai il premier o il segretario politico, perché, dice, “non ne ho la statura”. E mentre sul web risponde al Corriere, che ieri criticava la lentezza del neosindaco di Parma (“Pizzarotti s’è preso il suo tempo. Non ha nominato cani e porci. Altrimenti ci avrebbe messo un attimo”), nell’intervista al giornale israeliano riconosce: “La verità è che non abbiamo esperienza di governo. Entrare in Parlamento sarà un’altra faccenda. Anch’io non capisco del tutto il movimento. Forse, che cos’è, lo capiremo tra 15 anni”.
A questo punto lo stesso intervistatore si spazientisce e gli rimprovera risposte “vaghe”. Ma lui replica, candido, che non ha elementi per decidere e che è “ la gente che deve pronunciarsi, coi referendum sulla rete”. A questo punto è condivisibile il giudizio finale del giornale, che scrive: “Grillo è un buon attore che sa che cosa vuole il suo pubblico. Ma non sa dire che cosa vuole”. Una bel problema per una Nazione che cercando un’uscita dal berlusconismo, ci ricade sotto mentite spoglie, nuovamente e pericolosamente populiste.
Ed è perdente anche l’Italia che, da Milano nega, dopo averla sbandierata, la cittadinanza onoraria al Dalai Lama, perché il governo di Pechino ha minacciato di disertare l’Expo. E bene fa Verbania a rispondere alla sostituzione della giunta di Giuliano Pisapia, che alla cittadinanza onoraria ha sostituito un momento di omaggio alla massima autorità spirituale buddista, dicendosi disposta a darla lei tale onorificenza al premio Nobel per la Pace del 1989. "La decisione presa a Milano – ha detto il sindaco di Verbania, Marco Zacchera – denota di fatto imbarazzo nel sostenere questo paladino dei diritti civili, lo stesso che manifestò il governo D’Alema nel riceverlo a Montecitorio e che a dieci anni di distanza si accentua addirittura, come dimostra la posizione di Pisapia". L’ordine del giorno per il conferimento della cittadinanza onoraria al Dalai Lama fu approvato dal Consiglio comunale di Verbania il 17 febbraio 2010, con 28 voti favorevoli e con l’unica astensione di Savino Bombace dell’Italia dei valori. A presentare e illustrare il documento fu Maria Canale. "Il Dalai Lama – spiega l’esponente del Pdl – è espressione di una religione e di una cultura lontana dalla mia, ma il suo impegno per i diritti civili e umani calpestati quotidianamente dalla Cina è un valore universale che merita la massima considerazione. Come cittadina e insegnante sono indignata da quanto accade a Milano. L’invito del nostro sindaco è un messaggio di civiltà, quel messaggio che una grande città come Milano non è in grado di dare".
Non c’è che dire: in questo nostro complesso Paese, c’è (e forse ci sarà sempre) una Nazione che vince ed una che perde, anche nei riguardi delle buone occasioni.
Sicché mentre Stefano Folli, da subito dopo le ultime amministrative, nutre speranze sulla riuscita della Italia migliore, io la penso come e peggio di Tommaso Nannicini, che dal suo blog si chiede perché in Italia, da oltre un decennio, si fa un gran parlare di riforme finendo per fare poco o nulla? E si risponde in modo chiaro e semplice: i potenziali vincitori non hanno voce presso partiti e parti sociali, mentre i potenziali sconfitti sanno bene come far pesare la loro influenza. Il nostro, insomma, è un Paese a rischio di “dolce declino”, che ha smesso di crescere per la sua incapacità di adattare un modello di sviluppo e d’intervento pubblico nell’economia. Dal welfare al fisco, dalle liberalizzazioni alla scuola. Tutto questo perché, come ha scritto qualche commentatore straniero, agli italiani non interessa abolire i privilegi della varie caste, ma, piuttosto, essere cooptati in qualche casta.
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