Secondo quanto rende noto l’Istat, nel 2019 gli italiani espatriati sono prevalentemente uomini (55%). Fino ai 25 anni, il contingente di emigrati ed emigrate è ugualmente numeroso (entrambi 20mila) e presenta una distribuzione per età perfettamente sovrapponibile. A partire dai 26 anni fino alle età anziane, invece, gli emigrati iniziano a essere costantemente più numerosi delle emigrate: dai 75 anni in poi le due distribuzioni tornano a sovrapporsi.
L’età media degli emigrati è di 33 anni per gli uomini e 30 per le donne. Un emigrato su cinque ha meno di 20 anni, due su tre hanno un’età compresa tra i 20 e i 49 anni mentre la quota di ultracinquantenni è pari al 13%. Considerando il livello di istruzione posseduto al momento della partenza, nel 2019 un italiano emigrato su quattro è in possesso di almeno la laurea (30mila).
Rispetto all’anno precedente le numerosità dei laureati emigrati è in lieve aumento (+1,4%). L’incremento è molto più consistente se si amplia lo spettro temporale: rispetto a cinque anni prima gli emigrati con almeno la laurea crescono del 23%.
Quasi tre cittadini italiani su quattro trasferitisi all’estero nel 2019 hanno 25 anni o più: sono poco più di 87mila (il 72% del totale degli espatriati); di essi quasi uno su tre (28mila) è in possesso di almeno la laurea. In questa fascia d’età si riscontra una lieve differenza di genere riguardo alla consistenza e al titolo di studio di chi espatria: le italiane emigrate sono meno numerose (rappresentano circa il 43% del totale degli espatriati di 25 anni o più) ma sono più frequentemente in possesso di almeno la laurea (il 36% contro il 30% dei loro coetanei).
Rispetto al 2010, inoltre, l’aumento degli espatri di laureati è più evidente per le donne (+8%) che per gli uomini (+3%). Tale incremento risente in parte dell’aumento contestuale dell’incidenza di donne laureate nella popolazione (dal 5,5% del 2010 al 7,8% del 2019).
L’altra faccia della medaglia è costituita dai rimpatri: nel 2019, considerando il rientro degli italiani di 25 anni e più con almeno la laurea (15mila), la perdita netta (differenza tra rimpatri ed espatri) di popolazione “qualificata” è di 14mila unità. Tale perdita riferita agli ultimi dieci anni ammonta complessivamente a poco meno di 112mila unità. Il trend in aumento degli espatri è da attribuire in larga parte alle difficoltà del mercato del lavoro italiano di assorbire l’offerta soprattutto dei giovani e delle donne.
A queste si aggiunge il mutato atteggiamento nei confronti del vivere in un altro Paese – proprio delle generazioni nate e cresciute in epoca di globalizzazione – che induce i giovani più qualificati a investire con maggior facilità il proprio talento nei paesi esteri in cui sono maggiori le opportunità di carriera e di retribuzione. I programmi specifici di defiscalizzazione, messi in atto dai governi per favorire il rientro in patria delle figure professionali più qualificate, non si rivelano quindi del tutto sufficienti a trattenere le giovani risorse che costituiscono parte del capitale umano indispensabile alla crescita del Paese.