“I giovani qualificati costituiscono una parte rilevante del capitale umano del Paese che su di essi investe in istruzione e formazione allo scopo di promuovere il loro inserimento in un mercato del lavoro sempre più competitivo a livello internazionale. L’esperienza migratoria dei giovani laureati non necessariamente assume una connotazione negativa, qualora si traduca in un’emigrazione temporanea e sia seguita da un rientro dopo brevi periodi.
In questi casi, le competenze acquisite durante la permanenza fuori dal luogo di origine (estero o altro Comune italiano) possono essere utili a trasferire know how nei settori economici dei territori di partenza”. E’ quanto emerge da un report dell’Istat sulla ‘demografia delle aree interne’.
“Quando invece l’emigrazione di capitale umano è permanente e non è rimpiazzata da un volume di rientri di giovani qualificati almeno equivalente, la perdita di popolazione dovuta alle migrazioni ha un peso socioeconomico più gravoso e impatta ancora più negativamente sul tessuto produttivo dei luoghi di partenza, soprattutto di quelli più fragili come le Aree interne.
Negli ultimi 20 anni – fa sapere l’istituto di statistica – il numero di giovani laureati italiani che dalle Aree interne si sono trasferiti verso i Centri o verso l’estero, è costantemente aumentato, mentre molto meno numerosi sono stati i flussi sulla traiettoria opposta”.
“Tra il 2002 e il 2022 si sono complessivamente spostati dalle Aree interne verso i Centri poco meno di 330mila giovani laureati di 25-39 anni, mentre appena 45mila verso l’estero. Nello stesso periodo, sono rientrati verso le Aree interne 198mila giovani laureati dai Centri e 17mila dall’estero.
Ne consegue che la perdita di capitale umano delle Aree interne è pari a 132mila giovani risorse qualificate a favore dei Centri e di 28mila a favore dei Paesi esteri. Complessivamente lo svantaggio per le Aree interne è pari a 160mila giovani laureati”, puntualizza l’istituto di statistica.