“A dodici mesi dall’omicidio di Mahsa Jina Amini, le cose in Iran non solo non sono migliorate, ma stanno peggiorando: la repressione contro i manifestanti è sistemica. Le proteste però non si sono mai fermate, sebbene i media seguano sempre meno questo tema e le persone subiscano sempre più minacce. Quando la gente non scende in strada, lavora però per organizzare modi alternativi per resistere a violenze e arresti”.
Fereshteh Rezaifar è membro del collettivo Donna, vita, libertà di Roma e come tante attiviste in tutto il mondo lavora per ridare visibilità al movimento per i diritti, alla vigilia della morte della Amini. Il 16 settembre del 2022 la ventiduenne curda iraniana moriva mentre era in custodia della polizia morale, che il 13 l’aveva arrestata perché indossava il velo in maniera giudicata inappropriata. Da questa tragedia ha ripreso vitalità il movimento che da anni scende in piazza per chiedere riforme democratiche. Da allora, ai cortei pacifici si sono registrati migliaia di arresti e persino dei morti.
Alla Dire Rezaifar, attivista iraniana da oltre vent’anni in Italia, avverte: “E’ di oggi la notizia della prima vittima dei cortei in occasione dell’anniversario di Mahsa Jina Amini: si chiamava Hamed Bagheri e gli hanno sparato perché invitava la gente a manifestare”. Come riportano fonti internazionali, il giovane è morto in ospedale dopo essere stato raggiunto da quattro colpi d’arma da fuoco a Karaj, non lontano da Teheran. La polizia locale ha confermato l’intervento degli agenti, resosi necessario perché il giovane “deteneva armi da taglio”. Ma per le organizzazioni per i diritti umani locali, si è trattato di un’esecuzione extragiudiziale.
Rezaifar riferisce poi che la famiglia Amini sta subendo pressioni: “In settimana il padre di Mahsa Jina è stato convocato già quattro volte dalla polizia: gli ordinano di annullare la cerimonie commemorativa minacciando di arrestare l’altro figlio. Ma la famiglia non cede: sostiene che Mahsa Jina è figlia del popolo, a cui spetta decidere delle celebrazioni”.
Secondo l’attivista, In Iran gli abusi “sono sistemici: non si tratta solo di percosse o arresti: finiscono in carcere anche i famigliari delle persone uccise dalle forze di sicurezza, come la mamma dell’undicenne Kian Pirfalak”. Il bambino morì nell’assalto al mercato di Izeh il 16 novembre scorso. Il governo accusò l’Isis, ma per le associazioni furono gli agenti ad aprire il fuoco. “Di recente è stato ucciso anche il cugino”.
E’ finito in carcere anche il padre di Mohammad Mehdi Karami, il 21enne giustiziato a gennaio per aver protestato a Karaj per la morte di Mahsa. Il genitore a dicembre denunciò che l’avvocato d’ufficio assegnato dal tribunale a pochi giorni dall’impiccagione di Karami ancora non aveva risposto alle sue chiamate e non stava seguendo il caso.
Rezaifar continua: “I giudici a processo poi spesso imputano reati mai commessi”. C’è poi il problema dei legislatori: è di questi giorni la legge che prevede fino a 10 anni di reclusione per le donne che non indossano il velo in pubblico: “Sempre più donne lo rifiutano” continua l’attivista, “ed è stato calcolato che se la legge venisse applicata, la polizia morale – che è stata a sua volta ripristinata, dopo una momentanea sospensione – dovrebbe arrestare circa 6mila persone al giorno”.
Fereshteh Rezaifar tiene a chiarire: “Il movimento di protesta ‘jin, jiyan, azadi’, ossia ‘donna, vita, libertà’, non è però solo una lotta di genere ma comprende tutti: operai, docenti universitari, pensionati, cittadini comuni e tanti uomini che sostengono le donne. Le proteste ad esempio proseguono senza sosta in Kurdistan e Beluchistan, regioni di frontiera dove i gruppi etnico-religiosi denunciano da tempo di ricevere poche risorse dal governo centrale. I media- l’appello finale- devono riaccendere i riflettori sull’Iran”.
Per ricordare queste istanze, a Roma si terranno tre appuntamenti a partire da stasera, 15 settembre, con una passeggiata notturna da piazza Campo de’ Fiori promossa dal movimento Donna, vita, libertà in concomitanza con altre città del mondo. Domani 16 settembre, alle ore 11, è previsto poi un sit-in davanti all’Ambasciata iraniana, con l’adesione di vari collettivi e associazioni; infine alle 16, presso la redazione di Left in via Ludovico di Savoia 28, si terrà il seminario ‘A un anno dall’assassinio di Stato di Mahsa Jina Amini’.
Alla Dire Celeste Grossi, delegata nazionale Arci Politiche di genere, osserva: “In Iran la strada per la libertà è lunga ma la voce delle donne che da un anno guidano la lotta per una società più giusta arriva potente fino a noi. Continueremo a sostenerle sia per il benessere della democrazia in Occidente che per gli altri Paesi oppressi, come l’Afghanistan, dove si è arrivati ad avvelenare le ragazze che andavano a scuola”.