Non solamente infertilità. Oggi la Medicina della riproduzione dà risposte anche ai problemi di natura genetica. A distanza di 40 anni dalla nascita della prima bambina fecondata in provetta, è profondamente cambiato l’approccio alla procreazione assistita sia intermini di risultati, sia di utilizzo.
È quanto emerso dal secondo corso avanzato di Medicina della riproduzione ed Endocrinologia ginecologica dal titolo “Professionisti e centri per la fertilità, una gestione coordinata dei pazienti nell’era della genetica” che si è svolto al LAC di Lugano.
L’appuntamento biennale di livello internazionale, promosso dal centro per la fertilità ProCrea e dai laboratori Dr Risch, quest’anno ha avuto tra i suoi relatori Simon Fishel, il fisiologo e biochimico ritenuto insieme con Robert Edwards e Patrick Steptoe tra i pionieri della procreazione assistita.
Fishel infatti ha collaborato con Edwards e Steptoe in occasione della prima fecondazione in vitro che portò il 25 luglio del 1978 alla nascita di Louise Brown.
«La genetica ha rivoluzionato tutto quanto ruota attorno alla procreazione assistita. E, benché abbiamo la consapevolezza di aver fatto passi da gigante dal 1978 ad oggi, sappiamo che la strada davanti a noi è ancora lunga», premette Marina Bellavia, specialista in Medicina della riproduzione del centro ProCrea, componente del comitato scientifico della due giorni. «Guardare alle tecniche che si facevano 40 anni fa è un po’ come osservare terapie da “preistoria”. I tassi di successo sono passati dal 15% a oltre il 60% di oggi. Lo sviluppo è stato indubbiamente enorme. E la genetica è un ambito che ha dato un grandissimo impulso a tutta la Medicina della riproduzione. Oggi chi si rivolge a un centro di procreazione assistita non lo fa solamente per problemi di infertilità, ma anche genetici».
In 40 anni c’è stato anche un profondo cambio culturale. Quello che lo stesso Fishel ha descritto come “un periodo di grande solitudine dove anche molti medici erano contro”, oggi è un ambito in profondo sviluppo nella quale confluiscono ginecologi, andrologi, esperti in medicina della riproduzione, biologi, genetisti ma anche endocrinologi e nutrizionisti. «La procreazione assistita, oltre ad essere relativamente giovane, è un ambito particolarmente complesso che richiede un approccio multidisciplinare», continua Bellavia.
Tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80 i casi non venivano analizzati in profondità come oggi. «Le terapie ormonali e i tempi non seguivano la rigorosità che c’è oggi. Inoltre, non c’era la possibilità di capire le differenze tra un embrione e un altro», aggiunge la specialista di ProCrea.
«Oggi la genetica ci apre moltissimi scenari. Ci permette di individuare l’ovocita con maggiori probabilità di dare origine ad una gravidanza». Anche la recente apertura della normativa Svizzera alla diagnosi preimpianto sugli embrioni, e non solo sui globuli polari, testimonia questa tensione. «Le analisi genetiche ci permettono di individuare gli embrioni che non hanno anomalie cromosomiche o malattie genetiche, evitando quindi che genitori portatori sani possano trasmettere la patologia ai figli», spiega Giuditta Filippini, direttrice del laboratorio di genetica molecolare ProcreaLab e membro del comitato scientifico del corso. «Sono analisi per le quali abbiamo molte richieste e che di fatto spostano l’attenzione da un problema essenzialmente di infertilità ad un problema di carattere genetico».
Le sfide future vanno nella direzione di ampliare i fattori di studio per capire quali gli embrioni con maggior potenzialità di successo. Ma anche, conclude Bellavia, «a livello dell’ovocita sono molti gli studi che si stanno concentrando sui processi di invecchiamento dell’ovocita stesso, cercando delle terapie di ringiovanimento. Quindi di restituzione della capacità fertile persa con il passare degli anni».