Le povere anime dannate che arrivano sulle nostre coste cercano di salvarsi dalle guerre, di liberarsi dalla schiavitù e di poter conoscere un mondo migliore di quello che hanno lasciato. E cosa trovano? Disprezzo e rifiuto; li condanniamo già prima che arrivino, e nel migliore dei casi, se superano i pericoli del mare, li offriamo in pasto ai nuovi squali politici che li usano per alzare le loro quotazioni elettorali.
“Mille lire per un mattone”. Anni fa una vecchia campagna pubblicitaria invitava a raccogliere fondi per costruire in Africa. Era già quello un progetto umanitario per “aiutarli a casa loro”. Quante domeniche trascorse da chi come me ha fatto parte dell’Azione Cattolica dandosi da fare nel suo piccolo per raccogliere poche centinaia di lire da inviare in Africa! E come ci si sentiva utili e orgogliosi! Nulla è cambiato da allora in quello straziato continente, anzi sono aumentati i problemi, i profughi, i diseredati.
Quante sono oggi le onlus che da tutte le reti televisive chiedono il cinque per mille con lo scopo di arginare la mortalità e le sofferenze dei bambini africani? E quali sono i risultati? Domanda retorica. I risultati non si vedono o comunque sono insufficienti. Cosa non ha funzionato? Le onlus crescono a ritmo di un battito cardiaco eppure il fenomeno della povertà e delle migrazioni di massa è sempre più incalzante.
In questi ultimi giorni, forse per egoismo e per paura, mi è capitato di pensare che anche gli italiani, pur con le dovute differenze, rischiano di cadere nella trappola del bisogno. I dati Istat rivelano che in Italia ci sono oltre cinque milioni di poveri: ci toccherà emigrare ancora? Sono già tanti i nostri giovani che vanno via, i numeri parlano chiaro: sono pari a quelli che arrivano sulle nostre coste.
La politica deve saper capire i fenomeni, prevenirli e mettere in campo soluzioni di ampio respiro, per non scatenare guerre tra poveri magari con l’obiettivo di accontentare un certo elettorato, che sarà stanco sì ma non è razzista.
Dobbiamo concentrare l’attenzione sugli immigrati, ma anche sui nostri emigranti, perché se il primo problema fa paura il secondo è in arrivo; rischiamo di ritrovarci senza una identità e una cultura, rischiamo di diventare la terra di nessuno.
Non sono contrario al multiculturalismo, vivo in un Paese dove senza l’emigrazione non sarebbe nemmeno nata una nazione. L’Australia in questo senso è un esempio e può insegnarci a crescere, coniugando accoglienza e occupazione.
Cari governanti, abbiate il coraggio di affrontare la questione anche in senso inverso: la colpa è nostra se quei poveri cristi arrivano in Italia, la stessa colpa l’abbiamo sui nostri giovani che partono, perché non siamo stati capaci di fare politiche serie. Se non vogliamo che domani ci siano i respingimenti anche per i nostri connazionali, attuate politiche sociali di sviluppo, altro che reddito di cittadinanza! In Africa ci vuole la democrazia, qui da noi ci vuole il lavoro.