L’Italia, ritenuto Paese ad alto rischio, almeno finora, non attira capitale dall’estero. Varie e molteplici sono le cause che determinano la scarsa propensione degli investitori stranieri ad investire nel nostro Paese, con grave danno per la nostra economia. L’unico dato certo e costante, sebbene l’opinione pubblica e l’intera classe politica nazionale dedichino scarsa attenzione al fenomeno, è costituito dal flusso di capitale proveniente dall’estero ad opera dei residenti oltre confine. Capitale, questo, frutto di risparmi di tanti italiani, di diverse generazioni, che periodicamente, spontaneamente, indotti da situazioni pregresse, apportano, da sempre, un loro puntuale contributo alla nostra sofferente economia.
Il settore immobiliare, che ha beneficiato di gran parte di questo capitale, è tuttora interessato, soprattutto per gli inevitabili lavori di ristrutturazione e di manutenzione, ordinaria e straordinaria, da continui investimenti, non sempre, come potrebbe apparire, di modesta entità. Il turismo di ritorno, con flussi costanti e sicuri, dal suo canto concorre, e non poco, a rendere congruo e massiccio l’investimento di capitale degli italiani all’estero in Italia. Il confluire di questo capitale nel circuito economico italiano fornisce linfa al sistema economico territoriale e nazionale.
Ogni presenza, ogni giorno di permanenza, ogni arrivo, ogni ritorno forniscono un contributo in termini di consumo, di acquisti, di investimenti, di possibilità lavorativa, a beneficio dell’intera economia del Paese.
Tuttavia il rischio di una defezione graduale e massiccia da parte dei residenti all’estero, vecchi e nuovi, è forte. I riflessi negativi conseguenti potrebbero farsi sentire sia sull’economia nazionale che territoriale, soprattutto in quei piccoli centri del Sud in cui il fenomeno della desertificazione ha subito negli ultimi anni un’ulteriore accelerazione per la partenza di tanti nuovi emigrati.
E’ conveniente per gli italiani all’estero investire, anche nell’interesse dei loro figli, i loro risparmi per mantenere il loro immobile ereditato, costruito o acquistato in Italia? O sarebbe più conveniente fare cassa ed investire diversamente?
Questo interrogativo coinvolge tutti indistintamente: i pensionati e non, che lasceranno in eredità i loro immobili ai loro figli; coloro che sono emigrati di recente e che probabilmente resteranno a lungo all’estero ed erediteranno gli immobili dei loro genitori in Italia; coloro che vorrebbero o potrebbero investire in Italia nell’acquisto di un immobile ad uso proprio.
Prescindendo dalle condivisibili ragioni che determinano lo scarso interesse degli investitori stranieri, che nel nostro caso hanno una valenza diversa, altre ragioni potrebbero far propendere per la non convenienza. Esse sono riconducibili alla notevole pressione fiscale e agli alti costi dei servizi che non trovano una giusta ed equa ripartizione, nonché all’incidenza dei costi complessivi in generale se rapportati anche al limitato utilizzo delle strutture.
Neanche il decreto legge su Imu,Tari e Tasi, che ha assimilato la casa dei pensionati all’estero a prima casa e ridotto gli oneri sui servizi, fornisce una indicazione sufficiente in questa direzione. Esso, tra l’altro, avrebbe potuto fornire un ulteriore contributo all’economia italiana qualora avesse previsto anche per i residenti all’estero degli sgravi fiscali per lavori di ristrutturazione o un bonus per l’acquisto di mobili. Ma questo aspetto non è stato nemmeno preso in considerazione.
La situazione è tuttora poco rassicurante, mancano infatti le necessarie risposte alle legittime attese di tutti gli italiani nel mondo, che accentuano il rischio di defezioni.
Un riconoscimento universale della casa in Italia degli italiani all’estero come prima casa e l’applicazione del criterio della quantificazione degli oneri Tasi e Tari nella misura data dal dl citato, sono fattori importanti alla base della valutazione di convenienza, da cui scaturisce anche la loro presenza futura sul territorio nazionale. E’ su questi aspetti che dovrebbe convergere l’attenzione dei politici, favorendo l’investimento e la presenza sul territorio mediante una giusta politica di convenienza, fiscale e non, invertendo la tendenza attuale che suscita l’effetto contrario.
Un italiano all’estero, facoltoso o meno, pensionato o non, giovane o vecchio, è un italiano che ha o potrebbe investire tempo e denaro in Italia arrecando profitto spendibile per superare lo stato di crisi dell’economia del Paese. Il suo apporto, se adeguatamente stimolato, potrebbe addirittura comportare dei vantaggi innegabili rispetto alla crescita nazionale. Ciononostante il fenomeno emigratorio viene inspiegabilmente sottostimato, non valorizzato ed addirittura snobbato. Sarà forse perché esso viene falsamente rappresentato e/o percepito.
Ciò trova conferma anche nelle motivazioni addotte in occasione dell’approvazione del citato dl, nonchè nei commenti euforici ad esso seguiti dei nostri eletti all’estero. Essi, infatti, hanno fatto riferimento al raggiungimento di un importante traguardo a favore di una categoria, quella dei pensionati, a loro dire debole, ma nessuno ha evidenziato l’ingiustizia a cui tutti gli italiani all’estero sono sottoposti, alla dignità, ai sacrifici fatti, all’attaccamento ai territori di provenienza, al contributo di benessere e progresso fornito dai beneficiari e dagli esclusi. Si è posto unicamente l’accento sulla debolezza, sullo stato di presunto bisogno, sul dato anagrafico dagli effetti denigratori. Si è sostanzialmente trasformato il riconoscimento e l’applicazione di un principio di giustizia sociale in un falso ed ipocrita provvedimento caritatevole a favore di questa categoria.
E’ come dire: "Adesso che sei vecchio, o quando lo diventerai, smetto di sfruttarti e di discriminarti e ti concedo il diritto di pagare il giusto!". Ciò è francamente deplorevole!
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