Prima l’intervista alla stampa estera, poi il ritorno in TV dall’Annunziata: in molti si chiedono se Gianfranco Fini non stia meditando un suo rientro in politica dopo un decennio di totale oscuramento.
Personalmente non credo ad un suo rientro e tantomeno credo che si schiererà esplicitamente con un singolo partito, ma non c’è dubbio che il nuovo scenario a guida Meloni abbia riportato interesse su un personaggio che – comunque giudicato – aveva dimostrato per vent’anni la volontà e la possibilità concreta di rinnovare profondamente la destra italiana.
Mai come in questo governo (e lo conferma anche la lista dei sottosegretari) quella che fu Alleanza Nazionale è tornata ad occupare con propri uomini (e donne) molte caselle nei dintorni di Palazzo Chigi, ma non è questo il punto.
Il percorso politico di Fini è stato infatti una progressione politica che è partita fondando Alleanza Nazionale dalle ceneri del fu Movimento Sociale (1995) ma poi, negli anni, ha assunto posizioni a volte contrastanti con il cliché di una destra tradizionalista, conservatrice e in qualche modo “convenzionale”.
Chi ricorda il percorso politico di Fini – prima ancora di lasciare Berlusconi per fondare “Futuro e Libertà”, spinto anche da alcuni amici che aveva intorno che si sono poi mostrati delle autentiche serpi – ricorderà che su diversi temi “civici” od etici la linea di Fini era diversa perfino da quella del proprio partito, si pensi a quella sui referendum sulla procreazione assistita, e non è un caso che ad un certo punto con lui si schierarono persone che oggi – come Della Vedova – sono riapprodate su posizioni radicali o di +Europa, nei diretti paraggi del PD.
L’ex presidente della Camera ha più volte ribadito di non voler dare consigli a nessuno, di non voler porsi come un grillo parlante alle spalle della premier (con cui però non ha smentito di aver ripreso i rapporti), ma piuttosto di continuare a pensare che la destra italiana debba andare non solo oltre alla polemica fascismo-antifascismo, ma soprattutto muoversi più spedita sul campo dei diritti civili, dell’integrazione, forse anche di una maggiore visibilità ed indipendenza dell’Italia nella politica internazionale.
Fini penso sia ben consapevole – credo con amarezza – di essersi “bruciato” anche per colpe proprie, e soprattutto per aver sottovalutato la continuità di Berlusconi di cui legittimamente si sentiva il successore (ma il Cavaliere sembra tuttora inossidabile, anche se a volte in maniera perfino patetica), ammettendo pubblicamente di aver sbagliato facendo confluire Alleanza Nazionale del “Popolo della Libertà”.
La storia non si costruisce con i “se”, piuttosto (anche perché chi ha rappresentato per cinque anni la terza carica dello Stato non può certo accontentarsi di fare un sottosegretario qualunque) Fini ci tiene correttamente a dimostrarsi e confermarsi come il “padre nobile” (o almeno lo zio) di una destra che alla fine ha ora concluso la sua traversata oceanica, dopo che lui stesso – e questa è una verità – per primo si mise a scioglierne le vele.
Non credo quindi che Fini voglia tornare “in politica”, ma penso che lo ascolteremo più spesso, anche perché intervenendo dall’Annunziata si è confermato sobrio, concreto, propositivo, almeno per i molti italiani che in lui avevano visto un suo futuro da premier e ne erano rimasti profondamente delusi e tristemente disillusi dieci anni fa. In qualche modo il tempo ha rimarginato certe ferite, ed ecco che si percepisce la classe di un personaggio che resta comunque al di sopra della media politica italiana. Come per Almirante nei suoi confronti a fine anni ’80 è forse scritto che tocca ad altre generazioni gustare il successo, comunque tenendo accesa quella fiamma di continuità ideale della destra italiana che – al di là del facile gioco di parole legato al simbolo di FdI – è però comunque una realtà.