"Il Pdl ha eletto all’unanimità come segretario un giovane bravissimo, Angelino Alfano, che ha 35 anni meno di me. Tutta la mia generazione deve fare un passo indietro. Io avrò un ruolo di padre fondatore. Darò il mio contributo alla campagna elettorale quando la parentesi del governo tecnico si chiuderà". Questo è un pensiero carpito dall’ultima intervista rilasciata da Silvio Berlusconi all’agenzia di stampa spagnola Efe. Ma al cambio di testimone era davvero preparato il partito? Credo di no.
Il repentino susseguirsi di fatti cruciali nella vita politica del Paese ha scardinato ogni certezza e aperto i giochi a strani riti che prima d’ora nella Seconda Repubblica non si erano mai vissuti.
Il Popolo della Libertà, partito soft, light, leaderistico, accentrato sull’indiscusso carisma del Presidente (ora torna di moda segretario) si è ritrovato ad essere spodestato dagli scranni più alti di Palazzo Chigi e al venir meno della figura del Padre fondatore capace di vincere e perdere da solo una qualunque tornata elettorale, essa sia stata comunale, regionale o nazionale.
D’improvviso si sono avviate le primarie e la conta è diventata inevitabile per capire quanto, ognuno dei quadri direttivi, contasse davvero sul territorio in termini di voti.
Un processo così complesso di "democratizzazione" fatto a brucia pelo ha inevitabilmente scottato le "morbidi pelli" di Onorevoli e Senatori che da anni avevano dimenticato cosa volesse dire scendere tra la gente a raccattare consensi. E grazie ai listini bloccati, qualcuno non ha proprio mai vissuto questo tanto agognato processo democratico di catalizzazione del consenso.
Il risultato è stato uno schiaffo plateale dall’elettorato ed una guerra fratricida tutta interna al movimento azzurro che un tempo veleggiava nei sondaggi sul 40%, oggi a stento si aggira attorno al 23%.
Un popolo, quello della libertà, che in questa occasione ha perso la grande sfida del domani. Ha pensato ad arroccarsi ed avvitarsi su se stesso, a concentrare le cariche comunali, provinciali e regionali sui già famosi e stantii personaggi storici che siedono nel nostro Parlamento. Capite bene che aprirsi alla società civile quando nel futuro si prevedono la metà dei seggi oggi assegnati, sarebbe stato troppo rischioso per tutti quei sederi abituati ad adagiarsi su titolate poltrone.
Dopo 18 anni di berlusconismo cantare "Meno male che Silvio c’è" non sortisce più alcun effetto, proprio perchè Silvio per il momento non c’è. Siamo sicuri e saremo lieti di vederlo ancora in campo, ma i nostri parlamentari eran convinti di essere stati "Unti dal Signore". Ora che il "Messia" non c’è, chi prenderà i voti?
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