Il Partito Democratico è chiamato ad assolvere ad una missione di eccezionale responsabilità. La mancata vittoria alle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio ha accelerato la discussione, all’interno del Pd, sulla politica e sulla forma partito, che unitamente ai valori, ne costituiscono l’identità.
La convocazione del congresso per l’autunno di quest’anno è una decisione da prendere subito. L’assise permetterà di uscire dalla lunga e inconcludente discussione che si è protratta fin dalla fondazione del 14 ottobre 2007. Troppe sono state le ambiguità che hanno permesso la formazione di correnti, le quali hanno portato il Partito democratico appannaggio di un vertice inamovibile.
Mentre nelle realtà territoriali è avvenuto il ricambio generazionale, a livello nazionale il gruppo dirigente è lo stesso dei soci fondatori Ds-Margherita. Il congresso che si terrà in autunno, come io auspico, dovrà dispiegare forze nuove per assicurare quell’inderogabile rinnovamento che porterà ad una nuova identità del Partito democratico.
L’identità del Pd non può prescindere dalla realtà sociale, economica, istituzionale e politica italiana. La paralisi politico-istituzionale, cui è giunto il nostro Paese, segna la conclusione del ventennio “berlusconiano” e coincide drammaticamente con una gravissima crisi economica. Vi è una relazione stretta tra questi due fenomeni. Il Paese non potrà risollevarsi economicamente senza una riforma radicale della rappresentanza politica e dell’assetto istituzionale. Pensare di rimettere in moto l’Italia rinunciando ad affrontare contemporaneamente le due crisi è un errore e un’illusione.
Il governo delle larghe intese non può, da questo punto di vista, essere la risposta più adatta. In esso, pur riponendo importanti attese, si concentrano contraddizioni insuperabili che rischiano di portare ad una paralisi e ad una divaricazione tra le aspettative degli italiani e la capacità produttiva della politica. La scarsa popolarità e il basso indice di gradimento di questo governo, sono il segnale eloquente della sua debolezza.
Il Partito Democratico deve saper interpretare questa fase storica che attraversa l’Italia. Solo così potrà dare risposte politiche ed organizzative adeguate. Non è sufficiente discutere astrattamente di quale partito costruire, bensì quale partito serve all’Italia. Al nostro Paese, in questo frangente, serve un partito di parte, come sempre abbiamo inteso fino ad ora, oppure un partito capace di rappresentare tutti? Cioè un partito tradizionalmente collocato dentro un’area della società oppure un partito universale? Il Pd deve farsi portatore degli interessi nazionali, da nord a sud e di tutte le categorie sociali. Evitiamo quindi l’inutile e stucchevole discussione se dovrà collocarsi più a sinistra o più a destra.
I dati allarmanti dell’economia (occupazione, produttività, debito pubblico, ricchezza nazionale) indicano un Paese in declino; prima il voto a Grillo, ora l’astensione, testimoniano il distacco degli italiani dalla politica e dai partiti. Non sono sufficienti le riforme, occorrono cambiamenti radicali.
Il governo delle larghe intese potrà fare le riforme, ma sicuramente non cambiamenti radicali. Le cure del governo Letta non potranno mai essere sufficienti a risollevare le sorti dell’Italia, poiché troppi privilegi restano tutelati, troppa evasione fiscale resta occultata, troppa criminalità resta intoccabile.
Una politica di grande cambiamento ha bisogno del supporto popolare. Le riforme, pur importanti, calate dall’alto, non bastano, non sono credibili e non possono scuotere l’opinione pubblica. Solo un leader è in grado di suscitare nuovamente tra la gente la passione per la politica e la condivisione delle scelte.
Il Partito Democratico deve darsi un grande leader, così come lo fu Enrico Berlinguer in quella difficile stagione degli anni ’70 e ‘80. Non dobbiamo temere il leaderismo. Il Pd dovrà darsi una forte leadership e stare sul territorio, così come ha dimostrato alle recenti elezioni amministrative. Un partito federale, con le sue organizzazioni territoriali in grado di sviluppare politiche aderenti al territorio (ambientali, formative, amministrative e sanitarie), e un partito nazionale guidato da un leader. Sicuramente anche il Pd all’estero ne trarrebbe grande giovamento.
Il leaderismo non è uno scivolamento verso derive populistiche, il leaderismo è capacità di decisione, di orientamento, di semplificazione politica e di unificazione nazionale. Partito del territorio e partito del leader sono la combinazione per scardinare le oligarchie e abbattere i privilegi che si annidano in tutti gli ambienti professionali e sociali.
Imbocchiamo con coraggio le vie del federalismo e del presidenzialismo. Non indugiamo ulteriormente. Il Partito democratico governa la gran parte dei territori ed ha grande responsabilità nel governo nazionale. Adesso è il momento di dare al Paese una prospettiva, un futuro, con Matteo Renzi Segretario!
*Vicepresidente dell’Assemblea Pd Mondo
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