Nel nuovo governo “tecnico” Monti, accolto entusiasticamente dalla stampa autoproclamatasi “libera ed indipendente” e da tutto lo schieramento “democratico” (con l’eccezione di molti che – come giustamente ha scritto Rodolfo Ricci su “Emigrazione Notizie” – criticano “l’eccessiva euforia della residua (sic!) sinistra”) è stato costituito un nuovo ministero, quello della “Cooperazione Internazionale e dell’Integrazione”, affidato al dirigente della ben nota “lobby” vaticana della “Comunità di Sant’Egidio”, Andrea Riccardi.
Compito di tale ministero dovrebbe essere quello di riattivare i canali della “cooperazione internazionale” (che sono anche una fonte di lucro per tutta la catena che se ne occupa, in Italia ed all’estero) e l’integrazione delle numerose ed articolate comunità d’immigrati residenti in Italia. Tutto giusto, sono opere meritorie e – come si dice – degne di un Paese civile. Però ci poniamo una domanda. Gli immigrati residenti in Italia, cui va la giusta attenzione del Ministro Andrea Riccardi e del Presidente del Consiglio Monti, sono circa quattro milioni: guarda caso, la stessa cifra dei cittadini italiani residenti all’estero. Allora, perché analogamente non si è fatto un altro ministero per gli Italiani all’Estero? Tanto più che un precedente specifico c’era, era quello del Ministro Tremaglia nel governo Berlusconi dal 2001 al 2006. Ministero poi subitaneamente soppresso dal successivo governo Prodi, che lo declassò al rango di sottosegretario incardinato nel ministero degli esteri; soppressione proseguita con il nuovo governo Berlusconi del 2008 anche a causa di alcuni errori commessi da Tremaglia per l’organizzazione del voto all’estero e la presentazione delle liste.
Sembrerebbe quasi che il nuovo governo dia più importanza politica alla “risorsa” umana ed economica degli immigrati che lavorano in Italia (spesso però in condizioni di notevole sfruttamento, con l’effetto indotto di provocare un “dumping” sociale nel mercato del lavoro all’interno delle nostre frontiere) che all’altrettanto importante risorsa economica, ma anche culturale e politica, degli italiani che lavorano all’estero.
Se a questo aggiungiamo le ipotesi sulla modifica della legge sulla cittadinanza, che tende a ridimensionare il principio dello “ius sanguinis” a favore dello “ius soli”, ciò potrebbe comportare una minor considerazione per le richieste di attuazione dei diritti di cittadinanza (ad esempio, pensioni, assistenza sanitaria, istruzione) a favore dei connazionali residenti all’estero, e per le stesse istanze per il riacquisto della cittadinanza oggetto in passato di numerose proposte di legge.
Quindi, in conclusione. Ben venga l’attenzione per gli immigrati, ma essa non deve essere attuata a danno, diretto ed indiretto, degli italiani residenti all’estero i quali – per diritto di cittadinanza – desiderano veder tutelate ed accolte le loro legittime istanze più volte espresse nei Comites e nel Cgie, certamente in modo maggiore di quanto abbia fatto il precedente governo.
*Consigliere Cgie – Consiglio Generale degli italiani all’estero
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