Il sogno di una vita nuova, senza più fame, era la baia di New York, la Statua della Libertà, Ellis Island e poi le Little Italy di Brooklyn e Manhattan.
C’era lavoro, durissimo e mal pagato, per tutti: tre milioni e mezzo di italiani all’avvento della Prima guerra mondiale varcarono l’Oceano alla ricerca di una sopravvivenza decente, verso “la Merica”.
Una storia lunga, tremenda ma anche gloriosa e commovente: in “Italiani d’America” di Mario Avagliano e Marco Palmieri (Il Mulino, pagg. 549) c’è se non tutto comunque moltissimo su questa storia: documenti, lettere, dati.
Lettere drammatiche – scrive Il Riformista – o piene d’amore per i familiari rimasti in Italia a cui gli emigrati inviano soldi, tanti soldi, le famose “rimesse” che alleviarono non poco le condizioni materiali di tanti italiani.
In questo grosso studio ci sono poi anche la “Mano Nera” o “La Cosa Nostra”, i gangster italiani (Lucky Luciano il più noto), la mafia e le violenze, ma il quadro complessivo è di una lunga odissea fatta di lavoro, umanità e sudore.