Non me ne voglia, Matteo Salvini. Ma l’immagine con Donald Trump sembra una di quelle fotografie che si scattano alla fine dei pranzi di nozze. Colletto sbottonato, sguardo lucido, un lontano cugino si avvicina allo sposo e lo abbraccia. Qualcuno tira fuori il telefono: clic, eccoli lì.
Lo sposo in questione, Donald Trump, potrebbe sapere a malapena chi sia il cugino Salvini (from Padania, Italy). Considerata la sua conoscenza del mondo, non ci sarebbe da stupirsi. Ma tutto questo, in fondo, non importa. Importa invece che il leader della Lega sia andato fino a Filadelfia per quella fotografia. E’ andato anche in Francia da Marine Le Pen e a Mosca con la maglietta di Vladimir Putin.
Queste sono le parentele, queste sono le passioni. Bisogna dar atto a Matteo Salvini di non aver mai nascosto i suoi propositi. Ha capito che Silvio Berlusconi è una stella spenta e si aggira, in Italia e all’estero, in cerca di nuove costellazioni. Quelle che trova, però, preoccupano.
Non occorre essere esperti di politica internazionale per intuire che i tre personaggi citati – Trump, Le Pen, Putin – non amano l’America e l’Europa come sono. Se vincessero, e se il Regno Unito il 23 giugno scegliesse di lasciare l’Unione Europea, l’Occidente non sarebbe più quello che abbiamo conosciuto negli ultimi sessant’anni. L’anniversario del Trattato di Roma (1957) sarebbe un funerale.
Qualcuno in Italia dirà: evviva! Chi invece si preoccupa – siamo la maggioranza, per adesso – deve ringraziare Salvini per essere chiaro e sincero. Quelli sono i suoi idoli, quelli sono i suoi ideali, quelli sono i suoi progetti: un’Europa sciolta, un’Alleanza Atlantica annacquata, ogni Paese per sé. Soluzioni locali per problemi globali: incrociamo le dita.
Bisogna sempre rispettare gli elettori, dovunque. Ma l’ascesa di Donald Trump è sconcertante. Dopo le vittorie di martedì, il miliardario è certo di essere il candidato repubblicano per la Casa Bianca. State sicuri: d’ora in poi comincerà a sembrare moderato, per evitare la diaspora dei conservatori tradizionali. Anche i suoi consiglieri hanno deciso che la tattica seguita finora – “Let Trump be Trump”, lasciate che Trump sia Trump – ha fatto il suo tempo. Occorrono buone maniere, almeno fino a novembre.
Ma The Donald ha detto troppe cose gravi, e ne ha taciute troppe altre, perché possiamo dimenticare chi sia. L’orrore dei liberali americani è musica per le orecchie dei suoi sostenitori; la classe media impoverita – in favore dei ricchissimi, sempre più sfacciati – ha trovato il suo orco da competizione, e non vede l’ora di buttarlo nell’arena.
Matteo Salvini è diverso: più sottile, meno chiassoso, sfornito delle qualità circensi del suo idolo a stelle e strisce. Ma dietro la cautela e i condizionali, i suoi progetti restano inquietanti. Staccare l’Italia dall’Europa, dopo sessant’anni, vuol dire esporla ai venti del sud e dell’est: e sappiamo cosa potrebbero portare. Sognare un’America sotto il segno di Donald Trump significa essere pronti a correre rischi enormi. Nessuno sa come potrebbe comportarsi in Medio Oriente, con la Cina, con la Russia: le dichiarazioni in materia del candidato repubblicano sono state, finora, infantili.
Ma niente di tutto sembra interessare Matteo Salvini. Il cugino con la cravatta verde, al termine del banchetto, si sbottona il colletto, chiama il brindisi e si mette in posa per la fotografia. Come andrà il matrimonio, nei prossimi anni, non è affar suo.
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