Quali che siano le motivazioni che hanno spinto il presidente del Consiglio a cedere di fronte ai ricatti di Umberto Bossi e Roberto Maroni, il trasferimento di sedi ministeriali a Monza – e più in generale nel nord del Paese – è un fatto indiscutibilmente grave, che non va giustificato secondo nessuno dei criteri messi sul tavolo del Consiglio dei Ministri che ha approvato il provvedimento. Quale fatto, quale circostanza può avere determinato un acconsentire del Popolo della Libertà rispetto ad una scelta così impopolare, così sconsiderata e così inutile, specie in questo preciso periodo storico?
La Lega Nord, mi si consenta, non ha per niente cambiato posizione rispetto alla vocazione originaria del movimento. La sua democratizzazione, il processo di moderazione e modernizzazione che era giusto caratterizzasse una forza politica di governo nazionale, oggi lascia scoprire tutte le sue falle. La Lega non è mai stata una forza di governo nazionale che guardi dal nord verso tutto il Paese. Il Carroccio, seppur abbia consentito a questo governo di restare l’unica alternativa possibile e stabile, guarda dal nord dell’Italia allo stesso nord, infischiandosene delle esigenze di un territorio certo più grande delle quattro o cinque regioni che comporrebbero – a detta loro – la pseudo Padania. Che non esiste e non è mai esistita. Questo decentramento delle sedi ministeriali al nord Italia, la cui apertura dal Capo dello Stato è stata definita “preoccupante”, e il fatto che sia stata concessa con così tanta disinvoltura da tutto il Governo, è da considerarsi uno dei tasselli in chiave federalista di una Lega Nord che non ha mai abbandonato l’idea di secessione dall’Italia. Ma che, crescendo e arrivando a Roma, ha ben compreso che lo staccamento dal resto del Paese è strada impraticabile, e che invece è cosa giusta utilizzare proprio l’influenza ottenuta nella Capitale – e il potere d’acquisto con il Pdl – per poter mettere sul piatto atti concreti e mirati al solo sviluppo delle regioni del nord Italia, e che il resto della maggioranza è costretta a votare per paura di andare a casa prima del tempo. Questa situazione, però, diventa sempre più impraticabile. Umberto Bossi spremerà sempre di più Silvio Berlusconi, incatenato dai suoi stessi guai giudiziari da cui sembra non riuscire più a districarsi, e impedito nella sua attività di Governo da un’opposizione che cerca da tre anni e mezzo di scalzare un governo espressione di una maggioranza specchio di un voto popolare democratico, seppur allargata a forze prima transitate all’opposizione; esattamente come adesso le opposizioni annoverano forze elette in maggioranza.
Il Governo tiene perché è la stessa maggioranza a sopravvivere in Parlamento. Questo, però, da circa un anno non fa altro che lasciare sulla graticola Berlusconi e il suo partito, permettendo agli altri di riorganizzarsi mentre il Governo si sputtana sul piano internazionale (Libia), sul fronte interno (una manovra indecente) e sul fronte istituzionale (sedi ministeriali al nord). Se continua così, sarà lo stesso Cavaliere a dover consegnare le chiavi di Palazzo Chigi ad altri, forse prima del 2013. Oppure potrà considerare uno strappo duro e puro, dimettendosi insieme a tutto l’esecutivo, lasciando che si avvii la tanto auspicata (anche da Alfano) nuova stagione politica.
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