Camillo de Pellegrin, sindaco di Val di Zoldo, nel Bellunese, ha lanciato il grido d’allarme, esponendo in segno di protesta una bandiera brasiliana sulla facciata del municipio.
Le 150mila domande di riconoscimento della cittadinanza inoltrate da brasiliani discendenti da avo italiano emigrato in Paesi in cui vige lo ‘ius soli‘ stanno ingolfando tutti i Comuni del Veneto, soprattutto i più piccoli.
Su Il Corriere del Veneto si legge che “a Tribano, nel Padovano, ‘l’Anagrafe sta scoppiando’, Valdastico sbriga 100 pratiche l’anno a fronte di 1.300 abitanti, Treviso e Vicenza ricevono decine di istanze a settimana, così come altri Comuni bellunesi”.
“Tutto ciò pregiudica il normale funzionamento degli uffici di stato civile — conferma Carlo Rapicavoli, direttore di Anci Veneto -. Con inevitabili ripercussioni sull’esecuzione degli adempimenti dei servizi demografici”. Ed è diventato un business il lavoro dei consulenti “in realtà intermediari di non ben precisate agenzie anche online”.
“Non capisco perché i Comuni si lamentino tanto, visto che chiedono da 100 a 500 euro a documento per rilasciare i certificati di nascita e matrimonio degli antenati, contro i 50 euro pagati dai residenti” dichiara l’avvocato Isabel De Lima, con studio in provincia di Napoli al lavoro su duemila ricorsi collettivi, in rappresentanza di 20 mila assistiti”, “ma i municipi non sono gli unici a guadagnarci. Un ricorso in tribunale costa 745 euro, un certificato di battesimo rilasciato dalla Chiesa fino a 80 e se ne pagano 300 solo per iniziare la pratica al consolato italiano in Brasile”.
“Il caso più clamoroso, sul fronte dei costi, è quello del Comune di Soave, che per iniziare e portare a termine l’intera pratica chiede duemila euro, più altri 600 euro l’uno per i certificati di nascita e matrimonio. Il tutto per 400 domande l’anno”. Un vero e proprio business.