L’identità della nostra cultura, come carta vincente che ci rende unici nel mondo. E poi scommettere su quel "saper fare" tutto nostro, per ripartire nel mercato globale e rendere il Made in Italy piu’ di un marchio, ma un vero fattore di crescita. Sono queste le prime tematiche emerse nell’assemblea annuale dei soci dell’Associazione Civita, svoltasi oggi a Roma presso il Macro.
Con l’accento posto sulla semplificazione e la sburocratizzazione delle procedure legate ai beni culturali, e sul binomio imprenditoria e cultura come imprescindibile motore di sviluppo, le linee guida del dibattito lanciato dall’associazione (che conta oltre 160 associati, tra enti e aziende) sono apparse subito chiare: in un momento di trasformazioni e grandi sfide per il nostro Paese, gli operatori del settore culturale possono e devono diventare i protagonisti di una possibile risoluzione della crisi, in un dialogo sempre piu’ stretto tra pubblico e privato. Se per Nicola Maccanico, vice presidente di Civita, "e’ finita l’epoca delle rendite di posizione e l’interesse culturale non basta piu’: la cultura vale solo se la diffondiamo e per farlo dobbiamo valorizzarla", per il segretario generale Albino Ruberti "allo Stato non dobbiamo chiedere un investimento di risorse, ma di credere nei grandi progetti culturali di trasformazione, mentre le aziende devono saper essere dei veri partner per le istituzioni".
Anche la scelta di avere come ospite d’onore un rappresentante del dicastero dell’economia, il viceministro allo Sviluppo Economico Carlo Calenda, sottolinea la volonta’ di Civita di considerare la cultura come volano di crescita non solo civile ma anche in termini di Pil. "Non mi preoccupa fare i soldi con i beni culturali, dobbiamo vendere la nostra identita’ e investire in modo innovativo, legando la promozione internazionale alla cultura", ha detto il viceministro, "l’Italia deve recuperare la leadership intellettuale che ha perso in questo settore perche’ e’ la piu’ grande potenza culturale e va rimessa sul mercato globale". Presente in sala anche Renzo Arbore, invitato per il suo ruolo di ambasciatore della cultura italiana nel mondo: "Dico sempre che non si puo’ morire senza aver visto l’Italia", ha detto l’artista, "per fortuna all’estero non seguono le vicende dei nostri politici e dei Casamonica, ma guardano solo alle tante cose belle in cui siamo i primi al mondo".
Con l’occasione, Arbore ha anche presentato la grande mostra interamente dedicata alla sua vita e alla sua carriera che sara’ allestita negli spazi della Pelanda, al Macro, a partire dal 19 dicembre, per festeggiare i 50 anni dal suo ingresso in Rai. "Spero che non sia una commemorazione, ma una celebrazione", ha precisato scherzando, "la ragione sociale della mostra, per usare un’espressione cara ai miei studi giuridici, sara’ l’arricchimento della gente anche con un sorriso". Nell’esposizione troveranno posto "50 anni di malefatte, un potpourri di cose divertenti, dal clarinetto all’orchestra, dalla radio, alla tv al cinema", ha spiegato, "e poi ci saranno i prodotti della fantasia che razzolando per il mondo ho collezionato, come gli oggetti di plastica e i gadget".
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