Confesso di essermi emozionato. Ritrovare dopo tanti anni Marco Pannella è stato bello e commuovente. Avevo sedici anni e facevo il Liceo Scientifico. Seguivo la politica come tanti miei coetanei che si dividevano tra Comunione e Liberazione e il Fronte della Gioventù. Busto Arsizio era una città schierata a destra e i giovani guardavano con simpatia Giorgio Almirante e don Giussani. A sinistra c’era poco o nulla: qualche militante della FGCI e qualche attivista di Lotta Continua. Io ero molto atipico già all’epoca e subii il fascino di quell’uomo che si batteva con tanta foga per i diritti dei diversi e che scombinava il quieto vivere della Prima Repubblica. Il referendum sul divorzio, quello sull’aborto, la lotta contro il finanziamento pubblico dei partiti, contro i reati di opinione, la battaglia per l’abolizione dell’ordine dei giornalisti, la lotta contro l’omofobia per i diritti dei gay, delle prostitute, dei “diversi”, degli emarginati, l’impegno contro lo sterminio per fame nel mondo culminato con un celebre appello di intellettuali che alla fine degli anni settanta dichiararono che era giunto il momento di “scegliere, agire, creare, vivere, far vivere”.
Pannella scandalizzava i benpensanti e indignava le gerarchie ecclesiastiche con il suo fare evangelico di denuncia dell’ipocrisia dei mercanti del tempio. La sinistra lo guardava con diffidenza, la destra lo scherniva. Sergio Saviane scrisse sull’Espresso che Pannella nei comizi “sembrava Dio”. Giorgio Bocca lo tacciò di qualunquismo. Io decisi di seguirlo e fui il primo iscritto radicale della provincia di Varese. A quell’epoca, nei radicali, militava anche un certo Francesco Rutelli.
Furono anni bellissimi: raccoglievamo firme ogni settimana nelle piazze d’Italia e sfornavamo iniziative su iniziative. Pannella raccolse il timone degli “Amici del Mondo” di Ernesto Rossi e, ispirandosi a Einaudi, Salvemini, Spinelli, diede vita al “liberalismo etico” e all’idea dell’Europa federale. Le idee radicali sono oggi penetrate nella società italiana ma Pannella non ha mai incassato alcun dividendo politico. Non ha mai voluto avere un partito di burocrati, di consiglieri comunali e regionali: a lui interessavano le grandi battaglie e non voleva che il suo partito diventasse preda di arrivisti e di politicanti.
Chi aderiva al Partito Radicale lo faceva solamente per una scelta ideale senza alcun tornaconto. Per questo motivo il Partito Radicale, che è il partito più vecchio d’Italia, è l’unico che non è mai stato nemmeno sfiorato dall’ombra di uno scandalo e Pannella è l’unico leader a non essersi arricchito con la politica.
L’occasione per incontrare Pannella me l’hanno fornita Giorgio Pagano, presidente dell’associazione radicale esperanto, e Lapo Orlandi che mi hanno invitato al convegno che si è svolto venerdì scorso alla Camera dei Deputati dal titolo “Internazionalizzazione della e nella lingua italiana”. Questo convegno, che sarebbe piaciuto al compianto Mirko Tremaglia, era legato alla proposta di legge dei radicali (primo firmatario Beltrandi) che dà risposte precise sia alla difesa e alla valorizzazione della lingua italiana e delle eccellenze italiane (costituzione dei Poli del Bello e del Buono) sia alla costruzione del federalismo europeo e mondiale, e che quindi salvaguardi dal monopolio linguistico anglosassone la diversità delle lingue dei popoli del mondo. Diversità linguistica che in Europa è messa a rischio dall’oligopolio anglo-franco-tedesco.
A titolo esemplificativo si sappia che il Politecnico di Milano ha deciso che, a partire dal 2014, non insegnerà più la lingua italiana consegnando in tal modo 40 mila cervelli italiani ogni cinque anni ai Paesi anglofoni.
Nella prima parte del convegno si è parlato del genocidio linguistico e culturale in Tibet e degli attentati ai diritti linguistici degli italiani in Europa (vedi normativa sui brevetti). Nella seconda parte ci si è soffermati sul rilancio dell’eccellenza italiana nel mondo: dal “Made in Italy” al “Fatto in Italia”. Molti i contributi. Carlo Ottaviano del “Gambero Rosso” ha ricordato che il turismo e il settore agro-alimentare contribuiscono alla formazione del 15% del Pil (quasi 250 miliardi di euro). I corsi di cucina italiana nel mondo sono molto richiesti. A Seul come a New York. I francesi, ricordava Ottaviano, hanno una cucina molto codificata: noi italiani abbiamo una cucina democratica in cui spiccano le specialità regionali e con le “cattedrali del vino” stiamo dimostrando una grande capacità di fare cantina e di produrre un vino di eccellenza. Umberto Croppi ha denunciato la vuota retorica di tanti dibattiti che non riescono a sfornare idee mentre sarebbe necessario valorizzare l’identità e l’universalità della lingua italiana. Il Made in Italy ha ricordato Croppi dà un valore aggiunto ai prodotti grazie alle capacità e al gusto dei nostri artigiani. Umberto Mucci dell’Italian American Museum ha ricordato che, se a Timbuctu bruciano i libri, l’Italia distrugge il suo patrimonio.
Non sono mancate le critiche ai carrozzoni clientelari come gli Istituti Italiani di Cultura, l’Ice, le Camere di Commercio estere che anziché difendere l’italianità nel mondo assicurano lauti stipendi e carriere sicure ai loro dirigenti.
Nelle sue conclusioni, Marco Pannella, ha ricordato come i radicali lottino da oltre vent’anni contro la “colonizzazione linguistica” inglese a difesa delle culture e delle identità dei singoli popoli e che questo sia “il tempo delle idee e della vita”. I radicali continueranno questa battaglia nelle sedi internazionali pur non avendo eletti all’estero e rappresentanze nei Comites, nei Cgie e nei patronati. A proposito: spiccava l’assenza dei candidati e degli eletti esteri…
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