Il suo nome è Luca Belvedere, brigadiere dell’Arma dei Carabinieri in forze al Quinto battaglione Emilia Romagna di stanza a Bologna, in trasferta a Piacenza, caduto sull’asfalto sotto i pugni e i calci di un gruppo d’estremisti di sinistra che per età potrebbero essere figli di quel carabiniere, e lui, di nuovo lui, si è rialzato sottraendosi infine a quel pestaggio selvaggio, e facendolo, risollevando il capo, ci ha resi fieri da lui.
Da alcuni giorni il brigadiere Luca Belvedere è il mio pensiero fisso; la sua carriera trentennale, i suoi capelli che inseguono la grisaglia, un po’ stempiato, ma indomito, e non posso fare a meno di pensare a mio padre che avrebbe potuto essere al suo posto.
E’ accaduto tutto in quel di Piacenza, e lui era lì, di fronte a circa duecento folli imbestialiti con la bava alla bocca, pronti a picchiare dei carabinieri come se non ci fosse un domani, con una foga e una carica di violenza indescrivibile, come se fare male a dei servitori dello Stato fosse lo scopo unico da raggiungere.
Un manipolo di facinorosi d’estrema sinistra armati fino ai denti di fumogeni, spranghe e qualunque altra cosa utile ad offendere, senza pensare che dall’altra parte possono esserci ragazzi come loro, figli, mariti, padri di famiglia che guadagnano 1300 euro circa; no, l’importante è picchiare duro, fare male, senza curarsi di poter arrivare all’irreparabile, e così si sono avventati sulla preda come avvoltoi senza anima.
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In un momento indefinito, uno di quelli che i grandi autori definirebbero topico, il Belvedere, essendo caduto forse per aver messo un piede in fallo, nello stesso attimo in cui veniva dato l’ordine d’indietreggiare, scivolato malamente, aggravato dal casco, dalle protezioni e forse anche dal giubbotto antiproiettile, per un lunghissimo momento credo si sia visto perduto sotto una gragnuola di colpi infami.
Quel milite era Luca Belvedere, e quando era atterra, mentre i suoi colleghi si ritiravano velocemente all’indietro, ignari che egli era finito sul selciato, nella stessa frazione di secondo maledetta, gli estremisti sono subito saliti addosso al malcapitato, forse quasi increduli d’aver messo gli artigli su una preda in modo così facile e veloce, come iene su una carcassa da spolpare.
Vile e ignobile è colui che infierisce sull’antagonista quando è a terra, eppure è quello che è accaduto.
Come ci si può sentire uomini quando si colpisce l’avversario in branco, e per di più mentre è in condizione d’inferiorità? Non lo capisco, ma so che solo un vigliacco può arrivare a tanto; chi non è degno d’essere definito uomo, ma solo miserabile.
Spranghe, calci, pugni non sono bastati, poiché gli aggressori tentano addirittura di spaccargli addosso lo scudo in dotazione perso nella caduta, e si accaniscono come se si trovassero di fronte al più feroce dei criminali, al più violento degli assassini, e invece quello che era a terra a prendere le botte, era solo un carabiniere in servizio mandato lì come i suoi colleghi per cercare di mantenere l’ordine pubblico, per tentare d’arginare i danni che in genere sono tanti in situazioni simili, e cercare con ogni mezzo di salvaguardare la gente normale, quella per bene, da violenze simili. Poi magari anche riportare la pelle a casa, da donne come mia madre e figli come me e mia sorella e tutto per uno stipendio che non è proprio faraonico.
Poteva accadere l’irreparabile, poiché se uno di quei delinquenti fosse riuscito a strappare il casco al milite e gli avesse assestato una sprangata sulla testa, o se essendo così tanti e tutti addosso fossero riusciti a strappargli la pistola dalla fondina, probabilmente ora racconteremmo tutti una storia diversa, a tinte fosche e grondante sangue, quella di un uomo che in momenti simili ha solo la “Virgo fidelis” a difenderlo, e soltanto il suo onore dipinto su un viso che abbiamo visto sofferente, ma non domo, non vinto, senza paura.
Infine il brigadiere Luca Belvedere è riuscito a venire fuori da quella morsa di sciacalli che lo stava picchiando selvaggiamente, riportando una spalla rotta che sarà operata e alcune contusioni, ma le ferite che ha dentro nessuno le vede. Nemmeno quelle di mio padre si vedevano, ma c’erano, così tante da causargli varie malattie a causa di servizi che lo hanno logorato.
Sento un senso d’inquietudine fortissima quando vedo la divisa oltraggiata, la stessa che ho stirato tante volte, la stessa che ho visto strappata dopo un inseguimento. Mi domando se quei facinorosi hanno figli, se pensano che quei servitori dello Stato, uomini come mio padre che ha dato tutta la sua vita senza potersi permettere lussi, senza mai comprarsi una casa, senza fare troppe vacanze, sempre di servizio di giorno e di notte, a Natale e anche a Pasqua, perché quel lavoro non si ferma mai, tra tossicodipendenti che ti mordono un braccio, aspiranti suicidi che si tagliano i polsi e vengono a piangere buttandoti il loro sangue addosso, o spacciatori che ti sputano addosso e sempre con quello stipendio tutt’altro che faraonico; ci pensano mai?
Si sono succedute le stagioni, come gli anni settanta, quando mio zio piangeva da solo, perché a quei tempi si faceva la caccia allo sbirro in divisa, e lui non sapeva se il fratello sarebbe tornato a casa la sera. Forse per un momento quei delinquenti dovrebbero pensare che uomini come Belvedere o come mio padre non sono lì a disposizione come carne da macello per consentire loro di sfogare gli istinti violenti più cruenti e selvaggi, perché sono uomini, persone, servitori della comunità, padri, figli, mariti, e fratelli.
Posso solo dire grazie a Luca Belvedere e grazie a mio padre; anche lui avrebbero potuto picchiare così, senza un motivo, senza un perché, tuttavia sappiano quegli estremisti che noi ci siamo, noi il popolo delle persone normali, dei familiari, dei figli, dei cittadini, e che non staremo sempre a guardare che si massacri un carabiniere.