Appena hanno qualche soldo, di famiglia o di risparmio personale, i giovani con le ali, i più intraprendenti, quelli che nel posto fisso si sentirebbero costretti e rinchiusi, lo investono nell’impresa che hanno sognato per realizzarsi, mettendosi anima e corpo a costruirla e a valorizzarla. Se non ci riescono, tornano a più miti consigli e pian piano si adattano a lavori di routine, con qualche rimpianto. Se ci riescono, e qui sta la beffa, appena cominciano a ingranare e a ingrandirsi, debbono fare i conti con le crescenti pretese di un fisco inumano, con i controlli mirati di funzionari corrotti e ricattatori, con l’invidia di chi ha fallito l’obiettivo, e magari con la continua pressione di mogli da accontentare.
Dura la vita dell’imprenditore, la cui immagine e’ stata per anni alterata e viziata dalle diapositive scattate ad arte da una sinistra parassitaria e da uno Stato esoso e patrigno, che lo hanno dipinto come disonesto evasore e venditore di fumo.
E’ stato Silvio Berlusconi a sdoganarle, le imprese e la loro utilita’ sociale, dall’alto delle sue fortune personali tanto decantate da lui stesso come successo meritato, dovuto a chi rischia sulla sua pelle e con i suoi guadagni crea lavoro e fa girare l’economia. Cavaliere del lavoro, l’ex premier, e speriamo che almeno questo riconoscimento non gli venga strappato dalla malevolenza dei denigratori a prescindere che alimentano il gossip senza soluzione di continuità.
Certo, l’imprenditore ha come primo obiettivo il profitto, e non potrebbe essere diversamente: senza guadagno, la remissione e’ certa, e l’azienda e’ costretta a licenziare e chiudere. Con conseguenze fatali per i dipendenti e, come purtroppo stiamo vedendo in questi giorni tristissimi, per lo stesso fondatore. Beati i poveri di spirito, non quelli che il Vangelo elogia come esempio di umiltà cristiana, ma quelli che nell’attuale societa’ in crisi di valori aspettano che sia la famiglia, lo Stato, la cattiva politica, a garantire per loro le comodita’ di un posto garantito, e non diciamo lavoro, precisiamo il termine "posto", proprio per sottolineare l’inoperosita’ di costoro. L’obiettivo più ambito e’ quello che si ottiene senza rischi; ne sanno qualcosa perfino gli eccelsi aristocratici professori che il buon Napolitano ha chiamato in soccorso della nazione e che sui libri hanno costruito senza sforzi il loro patrimonio di fama e di sostanze: tecnici superpagati e lodati oltre il merito, incapaci di gestire la crisi, venditori di chiacchiere dentro il Paese e ancor di più all’estero; luminari della teoria che nella pratica non sanno come agire e passano la mano ad altri tecnici, altrettanto timidi e confusi da chiedere aiuto ai cittadini. Rimpiango il professor Tremonti, rimpiango il Cavaliere. E chissà che non siamo in molti.
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