Paolo Savona, ministro per le Politiche Europee, in una intervista a La Verità parla di quello che fino ad oggi i giornali hanno definito il “piano B” su una discussa ed allarmante uscita dell’Italia dall’Euro: “Ho chiarito più volte, e la mia posizione è stata volutamente distorta. Preferisco parlare del ‘piano A’, cioè della nostra azione di governo, di come l’Italia può restare nell’Unione europea e, di conseguenza, di come questa possa sopravvivere. Del resto, è il tema oggetto del mio intervento alle Camere del 27 giugno e del 10 luglio”.
Il piano parte innanzitutto dalla richiesta all’Unione europea – su cui precisa che il ministro Tria è d’accordo – di sostenere un piano di investimenti, insomma fare deficit cosicché “la crescita del Pil nominale che ne risulterebbe può consentire un gettito fiscale capace di coprire allo stesso tempo la quota parte delle spese correnti implicite nelle proposte di Flat tax, salario di cittadinanza e revisione della Legge Fornero senza aumentare né il disavanzo pubblico né il rapporto debito pubblico/Pil su base annua”. E tutto ciò “nel reciproco interesse”: “Occorre infatti che l’Ue riconquisti la fiducia dell’opinione pubblica, non solo italiana, prima delle prossime elezioni europee, la cui data incombe”, “occorre recuperare il disegno iniziale europeo, che dovrebbe puntare a realizzare una gestione in comune su basi sussidiarie delle sorti dei popoli europei, per garantire loro quanto promesso: pace e benessere”.
Per Savona occorre inoltre “integrare la politica dell’offerta europea, centrata sulle riforme e i vincoli fiscali, con la politica della domanda, distinguendo quella destinata alla crescita in generale da quella specifica, volta alla crescita di singole aree arretrate”. E sostiene che “l’Italia da tempo vive al di sotto delle proprie risorse, come testimonia un avanzo di parte corrente della bilancia estera. Tale avanzo non può essere attivato, cioè non possiamo spendere, per l’incontro tra i vincoli di bilancio e di debito dei Trattati europei. Questo nonostante abbia ancora una disoccupazione nell’ordine del 10% della forza lavoro, e rischi crescenti di povertà per larghe fasce della popolazione. L’avanzo sull’estero di quest’anno è al 2,7% del Pil, per un valore complessivo di circa 5o miliardi: esattamente ciò che manca alla domanda interna”.
“Se, come assolutamente necessario, l’Ue intende proteggere veramente la stabilità monetaria e finanziaria e indurre una maggiore crescita, allora deve ampliare i poteri della Bce, includendo la piena facoltà di governare il cambio esterno dell’euro e di effettuare interventi da fender of last resort, ossia prestatore di ultima istanza”. Inoltre ricorda che “una politica della domanda centrata sugli investimenti, una scelta che, con l’avvento della Commissione Juncker, era già stata effettuata sotto la spinta dell’opinione pubblica rappresentata dal Parlamento europeo. Gli effetti positivi di questa politica sono stati modesti perché il meccanismo di finanziamento previsto era complicato. In un’economia che ristagna, gli impulsi devono essere esogeni, ossia provenire dall’esterno del sistema economico, come crediti generati da una politica economica finalizzata allo scopo o risorse proprie non deflazionistiche dell’Ue. Le soluzioni tecniche esistono, mancano le scelte politiche”.