Il fallimento del ”lodo Chiti”, la mediazione che avrebbe potuto sbloccare l’impasse delle riforme, apre per tutti scenari imprevedibili. Innanzitutto per il Pd che sembrava avere scommesso sulla proposta del dissidente democrat di rinviare il voto finale del Senato a settembre: Matteo Renzi era pronto ad incassare un colpo alla sua immagine di decisionista in cambio della certezza del varo in prima lettura della riforma sulla quale il governo ha posto una sorta di questione di fiducia. Ma qualcosa e’ andato storto. Sel infatti ha messo come condizione per sedersi al tavolo del negoziato, e ritirare gli emendamenti, che fossero cancellati i limiti determinati dal Patto del Nazareno. In altre parole ha tentato di incunearsi nell’asse Renzi-Berlusconi, una richiesta irricevibile per il premier e che lo ha spiazzato, sollevando anche dubbi sul ruolo dei ”pontieri” della minoranza democratica.
Lo dimostra la durezza del contrattacco del sottosegretario Luca Lotti, uno dei fedelissimi del Rottamatore, secondo il quale Renzi ”ascolta gli italiani e non sette senatori di Sel”. Lotti si e’ spinto a mettere in discussione, a questo punto, le alleanze del Pd con i vendoliani nelle giunte locali e anche le future intese per le elezioni. Nichi Vendola ha risposto che il suo partito non si piega ai ricatti e che non sono certamente Berlusconi e Verdini i padri della Patria, una battuta dalla quale si deduce quanto il problema dei rapporti con Forza Italia sia ancora insuperabile a sinistra del Pd.
Il pericolo tuttavia per il governo e’ un altro: la lentezza delle votazioni a palazzo Madama, in assenza di fatti nuovi, fa scivolare tutta la maggioranza nelle sabbie mobili dei veti incrociati e dei voti segreti. Per uscire dal guado potrebbe davvero essere necessario tenere inchiodati i senatori a palazzo Madama per tutto agosto, senza nessuna certezza di raggiungere il traguardo (finora ci sono state solo poche votazioni sulle migliaia previste).
Cio’ spiega perche’ abbia improvvisamente preso corpo lo spettro delle elezioni anticipate, la cui eco si avverte nelle parole del sottosegretario Lorenzo Guerini quando dice che la coalizione va avanti e ciascuno si dovra’ prendere le proprie responsabilita’ davanti agli italiani. E’ vero che un ritorno alle urne si svolgerebbe nelle condizioni piu’ favorevoli per i piccoli partiti perche’ – dopo la bocciatura del Porcellum – si voterebbe con il proporzionale puro e le preferenze, proprio come ai tempi della Prima Repubblica. Ma e’ anche vero che l’ ostruzionismo esasperato delle opposizioni suggerisce che il tentativo e’ di minare in tutti i modi il Patto del Nazareno, impedendo al tandem Renzi-Berlusconi di uscire dalle trincee in cui e’ stato ridotto.
Serve una nuova strategia. Legata anche all’Italicum, la nuova legge elettorale che non piace nemmeno agli alfaniani e sulla quale il premier ha compiuto qualche timida apertura in merito alla preferenze. Da Forza Italia si fa sapere pero’ che l’accordo non si tocca, ”i patti sono sacri” scrive il Mattinale (organo dei deputati azzurri). In retrospettiva si puo’ osservare che la malattia del Cavaliere, che ha costretto a rinviare il summit con il premier, e’ giunta al momento giusto: Berlusconi, che certo non controlla piu’ il partito come una volta, puo’ attendere di vedere se invece Renzi ha il controllo totale del Pd. Una parola la dira’ la Direzione democratica in calendario giovedi’ quando il segretario-premier dovra’ indicare la via da seguire, verificare l’opinione dei suoi, studiare l’atteggiamento della minoranza che ha rischiato di finire strumentalizzata dalle opposizioni (Chiti e’ intervenuto in aula per dire che i dissidenti non hanno bisogno del voto segreto per essere tutelati, lo sono gia’ dalla Costituzione).
Si pone comunque la questione dei rapporti a sinistra e di come fronteggiare la protesta di piazza minacciata da Beppe Grillo il quale e’ pronto a far abbandonare il Parlamento ai suoi. Sebbene un Aventino a 5 stelle non piaccia ad una buona parte del movimento che vuole battagliare nelle aule parlamentari.
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