Gli italiani, indisputati campioni di allarmismo, hanno un rapporto molto intenso con il clima e le stagioni. Rapporto in apparenza drammatico. Ma più spesso tragicomico. All’immancabile caldo estivo qualificato come infernale, mostruoso, africano, sahariano, pazzesco, torrido, rovente, bollente, da bollino rosso o addirittura nero, su cui gli organi d’informazioni, TV in testa, sversano concitati il “si salvi chi può!”, subentra immancabile il freddo invernale glaciale, siberiano, polare, pazzesco, che suscita anch’esso allarmi da bollino rosso e in casi estremi da bollino nero.
Apro una parentesi: secondo me, il colore più adatto per questo bollino drammatico da fine del mondo, che meriterebbe di divenire il nuovo simbolo della Repubblica al posto dello Stellone, dovrebbe essere in realtà il marrone. Colore quest’ultimo, in effetti, assai più vicino del rosso al colore del prodotto naturale che, a ogni cambio di stagione, l’apocalisse climatica italiana produce nelle parti più intime dell’abitante medio della penisola. Ci avrete certamente fatto caso: nello Stivale non esistono più né il temporale né l’acquazzone. Sono stati sostituiti, all’unanimità, dal nubifragio. E se un tempo pioveva a catinelle, oggi al posto di scrosci e rovesci il cielo lancia sugli italiani le “bombe d’acqua”.
È una vera guerra insomma. È una sorta di jihad climatica che mira forse all’africanizzazione dell’Italia. L’”anticiclone africano”, che grava in maniera ormai permanente sulla penisola, si somma, infatti, all’africanizzazione già in corso con gli sbarchi in provenienza dalla nostra “quarta sponda” mediterranea: l’africana.
Secondo certi dietrologi anti-USA, l’Africa invece non c’entra. Secondo loro, questo clima impazzito è la conseguenza di una “strategia della tensione” atmosferica, non dovuta quindi ai soliti cicloni e anticicloni, ma provocata dalla CIA e dai servizi deviati dello Stato italiano per scopi occulti e attraverso esperimenti climatici tutti da chiarire. Occorre a questo punto spiegare, a quei pochi italiani che non lo sapessero perché emigrati in tenera età e mai più rientrati in Italia neppure per una vacanza, che il clima nella penisola è un avvenimento nazionale e non locale.
Infatti, mentre qui da noi in Canada ci si preoccupa del freddo o del caldo che si subisce nella precisa località dove si vive, in Italia l’allarme è d’obbligo per qualunque fenomeno meteorologico fuori norma – e l’italiano considera la Natura intera fuori norma – anche se esso si verifica in uno sperduto angolo, contrada, valle o picco alpino della penisola, distante centinaia di chilometri da casa propria. Se sul Monte Bianco in quel momento vi è una temperatura invernale da record, l’allarme raggiungerà anche la Sicilia, dove invece in quell’istante un canadese potrebbe tranquillamente fare il bagno in mare. Insomma, dalle Alpi alla Sicilia è tutto un parlare preoccupato sul clima a causa delle temperature “pazzesche” e i record di freddo e di caldo che vengono battuti ininterrottamente nell’ex Belpaese. Un tempo chiamato “Belpaese” senza i sarcasmi odierni, proprio per il suo invidiabile clima.
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