La stagione dei tagli sembra non conoscere soste e si torna a parlare della necessità di “risparmiare” per far quadrare i bilanci. Come al solito, le forbici tagliano più facilmente dove minore è la resistenza e le conseguenze sono davanti agli occhi di tutti. Per gli italiani all’estero la “spending review” è sempre all’ordine del giorno, ragion per cui i fondi e i servizi a loro destinati risentono in modo crescente di questa situazione. A cominciare dai servizi consolari.
Infatti, nonostante siano diventati una fonte di ingressi per l’erario pubblico, con la tassa di 300 euro su ogni pratica di cittadinanza, continua a registrarsi un peggioramento della qualità dei servizi dovuta all’insufficienza di personale e alla chiusura di sedi (per fortuna, per adesso, non in Argentina). Nonostante il fatto che, almeno in teoria, il 33% degli introiti consolari per nuove pratiche di cittadinanza dovrebbero rimanere nelle casse dei consolati per sostenere, appunto, le loro attività al servizio dei cittadini. Ma in una ulteriore dimostrazione del fatto che lo Stato spesso non sa curare i propri interessi, i turni per accedere alla cittadinanza “ius sanguinis” sono insufficienti e difficili da ottenere, nonostante il sistema informatico escogitato per assegnarli. Più turni, più ingressi, equazione elementare, che però non trova riscontro nei consolati italiani.
Qualcuno potrebbe pensare che l’obiettivo del programma informatico che assegna i turni, adoperato da tutte le sedi consolari, è di ritardare l’ottenimento dell’appuntamento, in modo da scoraggiare i richiedenti. Crediamo che non sia così, ma che semplicemente con il personale a disposizione non si può fare di più, per cui lo scarso numero di appuntamenti dipende dalle pratiche che possono essere processate col numero di addetti a disposizione. E quindi si torna a guardare a Roma, alla politica, al governo. Come bisognerebbe fare per i fondi per la diffusione della lingua italiana. O per il funzionamento degli organi di rappresentanza delle comunità italiane all’estero – Comites e Cgie – che di anno in anno han visto ridursi le risorse a disposizione per fare ciò che le rispettive leggi istitutive elencano con cura e minuzia. O per i fondi destinati ai Patronati che operano all’estero, o sui regolamenti per l’assegnazione e il pagamento delle pensioni INPS all’estero. Perché se è giusto agire contro i furbi, non lo è fare di tutta l’erba un fascio.
Di fronte a tutte queste problematiche ci sono almeno tre attori che rispondono in modo diverso. I rappresentanti dei partiti di governo, che ricordano la situazione sempre difficile dell’economia italiana e il complicato contesto internazionale, che non consentono di abbassare la guardia, giustificando la riduzione di risorse a disposizione. I rappresentanti dei partiti all’opposizione, che oggi si strappano i vestiti in difesa degli italiani all’estero, ma quando erano al governo hanno iniziato la stagione dei tagli. Oppure, sempre tra gli oppositori, i nati negli ultimi tempi, che vorrebbero cancellare completamente i fondi per gli italiani all’estero, ignoranti assoluti della realtà dell’altra Italia. Il terzo attore è la nostra comunità con le sue strutture di rappresentanza: Comites, Cgie, ma anche le varie federazioni circoscrizionali, regionali, le rappresentanze dei Patronati, le associazioni che non si riconoscono in altre strutture, le confederazioni, a cominciare dalla Feditalia, ma ce ne sono altre. Ognuno porta la sua bandiera, ognuno pretende di rappresentare tutti o la stragrande maggioranza. Ma nessuna istituzione, nessuna struttura, nessuna persona o personalità, riesce ad esprimere la completa o maggioritaria rappresentanza della comunità italiana in Argentina.
E’ chiaro che sempre ci sarà qualcuno fuori dal coro, ma oggi manca proprio una voce corale. Certo che ci sono strutture che esprimono realtà associative molto evidenti: FEDIBA, FACA, CAVA, FABA, rappresentano vaste e attive reti di sodalizi della circoscrizione consolare di Buenos Aires, calabresi, veneti o lucani, solo per citare quattro federazioni molto attive e rappresentative delle proprie associazioni, ma non di tutta la comunità. Da parte loro i Comites possono vantare una rappresentatività legittimata dalle urne, dal voto espresso dai cittadini italiani residenti in ogni circoscrizione. Ma nemmeno loro vengono riconosciuti come “la voce” della comunità.
E allora chi si occupa di reclamare, di far presenti le nostre istanze? I deputati e senatori eletti all’estero? No, neanche loro, perché al di là del fatto che ognuno di loro risponde alle logiche dei partiti ai quali appartengono, come accennavamo sopra, sono presi dai tempi della politica di Roma: se c’è la possibilità o il pericolo di elezioni, devono per forza dedicarsi alle campagne elettorali. Manca – lo abbiamo scritto altre volte – una istanza di dialogo tra le varie istituzioni, rappresentatività, espressioni dei vari settori e protagonisti della nostra comunità.
Non abbiamo una cabina di regia e nemmeno una sala per il dialogo, perché non c’è ombra della volontà di sedersi a dialogare per cercare minimi comuni punti di vista. Una mancanza che si verifica anche nei confronti delle autorità locali, e nei confronti di altre comunità italiane in altri paesi, forse meno numerose, ma meglio organizzate della nostra. Ma se non riusciremo ad aprire questa istanza di dialogo tra le numerose anime della nostra comunità, sarà velleitario continuare a proporci come risorsa per l’Italia o per l’Argentina.
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