“Ha suscitato interesse e preoccupazione il nostro allarme sul pericolo che migliaia di giovani italiani andati all’estero per lavorare possano subire una tassazione concorrente (doppia) sul reddito da lavoro da loro prodotto nel caso in cui non si siano iscritti all’AIRE (devono iscriversi all’AIRE i cittadini che trasferiscono la propria residenza, da un comune italiano all’estero, per un periodo superiore all’anno). La doppia tassazione, abbiamo avvertito, rischia di non essere mitigata dal meccanismo del credito di imposta se i soggetti interessati, che hanno mantenuto appunto la residenza in Italia, non fanno la dichiarazione dei redditi in Italia ogni anno – come previsto dal TUIR (art. 165) e dal principio della “World Wide Taxation” (artt. 2 e 3)”. Così in una nota congiunta i deputati Pd Marco Fedi e Fabio Porta, entrambi eletti con il voto degli italiani nel mondo.
“Si considerano residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle Anagrafi della popolazione residente (presunzione assoluta senza prova contraria). La tassazione concorrente dei redditi da lavoro – proseguono i due deputati – è purtroppo (e paradossalmente) contemplata, oltre che dalla normativa nazionale, proprio dall’articolo 15 (Lavoro dipendente) di quasi tutte le convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali stipulate dall’Italia (per le pensioni INPS invece l’articolo 18 prevede solitamente la tassazione nel solo Paese di residenza, con alcune eccezioni come il Brasile e il Canada). Quindi i due principi di tassazione («residenza» e «fonte») concorrenti possono portare alla doppia imposizione giuridica internazionale, ovvero alla sovrapposizione delle pretese impositive di due Stati diversi.
Ricordando che abbiamo presentato una interrogazione al Ministero dell’Economia e delle Finanze nel tentativo di sensibilizzare il nostro Governo su questo problema e sul combinato disposto penalizzante dell’intreccio tra diritto nazionale e quello internazionale (convenzionale) e di sollecitare una rapida e adeguata soluzione – chi è interessato può consultare il testo dell’interrogazione dell’On. Marco Fedi sul sito della Camera –, riteniamo opportuno spiegare cosa prevede il famigerato e nefasto articolo 15 e le conseguenze concrete della sua applicazione.
Innanzitutto giova ricordare che le Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni fiscali sono (o dovrebbero essere!) un insieme di norme atte: – a ripartire la potestà impositiva tra i due Stati contraenti; – a risolvere le controversie, attraverso procedure amichevoli; – a combattere l’evasione attraverso lo scambio di informazioni e la collaborazione. Per eliminare la doppia imposizione le norme interne o convenzionali adottano, di solito, i seguenti metodi: – esenzione dei redditi prodotti all’estero; – credito d’imposta sui redditi prodotti all’estero”.
“L’intreccio tra le norme del TUIR italiano e l’articolo 15 succitato porta all’utilizzo da parte del Fisco italiano, per i residenti in Italia che lavorano all’estero, del secondo metodo, quello del credito di imposta. Il testo dell’articolo 15 è standard per quasi tutte le convenzioni stipulate dall’Italia ed è stato mutuato dal testo predisposto dall’OCSE (il modello OCSE è utilizzato come base per la stipula dei trattati internazionali contro le doppie imposizioni): “Articolo 15 – Lavoro subordinato 1. Salve le disposizioni degli articoli 16, 18, 19, 20 e 21, i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato contraente. Se l’attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato.” Traduzione con premessa OCSE. Premessa: quando le convenzioni intendono riservare la tassazione di un reddito soltanto ad uno Stato lo dicono espressamente, usando la locuzione «sarà tassabile soltanto”. Nell’articolo 15, purtroppo la locuzione c’è solo nella prima parte che si applica al lavoratore che lavora e risiede nello stesso Stato. Nella seconda parte (che è quella che si applica agli italiani residenti in Italia ma che lavorano all’estero) purtroppo non c’è.
E allora? Allora tutti gli Stati, compresa l’Italia, interpretano e hanno interpretato l’art. 15 – confortati dal Commentario OCSE – nel senso che nel caso di esercizio all’estero dell’attività lavorativa, la Convenzione conferma la tassazione nel paese della «fonte», senza però escluderla nel paese di residenza. Quindi il trattamento fiscale delle remunerazioni derivanti da lavoro subordinato è regolato dall’Articolo 15 che prevede al paragrafo 1, in linea con il principio contenuto nella corrispondente disposizione del Modello OCSE di Convenzione, la tassazione esclusiva nello Stato contraente di residenza del lavoratore, a meno che l’attività non sia svolta nell’altro Stato contraente, avendosi in tal caso una potestà impositiva concorrente dei due Stati.
Un bel pasticcio che viene mitigato, come abbiamo spiegato in un nostro precedente articolo e nell’interrogazione al MEF, dal sistema del credito di imposta che purtroppo a causa delle previsioni del TUIR non viene concesso dall’Italia se la dichiarazione dei redditi non viene presentata (omessa) o viene presentata in ritardo. Ed è proprio questa la situazione in cui migliaia di nostri giovani emigrati si trovano o si troveranno nel caso in cui non si iscriveranno all’AIRE (tassazione nel solo Paese di lavoro) – anche se l’iscrizione all’AIRE è condizione necessaria ma non del tutto sufficiente – o non faranno tutti gli anni la dichiarazione dei redditi in Italia sulla quale verrà concesso il credito di imposta.
Tuttavia, noi ci siamo attivati sia legislativamente, con l’interrogazione, sia politicamente, con interventi diretti, per cercare una adeguata soluzione al problema.
Infine – concludono Porta e Fedi -, vale la pena ricordare che, nonostante tale principio generale suesposto, ed in linea con il corrispondente principio del Modello OCSE di Convenzione, il paragrafo 2 dell’articolo 15 prevede la tassazione esclusiva nello Stato contraente di residenza del percipiente, nel caso in cui ricorrano congiuntamente i seguenti criteri: a) permanenza nell’altro Stato contraente per un periodo non superiore ai 183 giorni in un periodo di dodici mesi che inizia o termina nel corso dell’anno fiscale considerato; b) pagamento delle remunerazioni da, o per conto di, un datore di lavoro che non è residente dell’altro Stato; c) l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nell’altra Parte”.
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