Il banco vince. Sempre. Il banco è lo Stato. E il gioco è la sua banca. I giocatori si impoveriscono, si arricchisce lo Stato: nel 2013 l’erario ha incassato una cifra enorme, sbalorditiva. I giochi cosiddetti legali hanno portato nelle casse dell’erario 8,4 miliardi di euro. No, questo non è un refuso, un errore di stampa, il lapsus di chi scrive vittima di un colpo di sole.
La montagna di danaro rappresenta quello che l’Agenzia delle Dogane e i Monopoli definiscono l’introito dal “gioco legale e responsabile”. Otto miliardi e quattrocento milioni di euro sono il prodotto della vasta e variegata gamma dell’offerta dello Stato in materia di giochi, scommesse e congegni a danaro. Mentre lo Stato incassa e ingrassa, una fetta di cittadini italiani si ritrova sempre più povera. Colpa sua, certo, nessuno ha messo il coltello alla gola alle persone, imponendo loro di giocare alle macchinette e a quant’altro. Nondimeno, però, “la vasta gamma di proposte” ne ha incentivato l’esigenza e la necessità di affidarsi alle scommesse come ultimo disperato tentativo di arginare gli effetti della crisi economica.
Il gioco contribuisce a rendere quella fetta di italiani ogni giorno più miserabile e disperata.
Degli 8,4 miliardi incassati nel 2013, lo Stato ne ha contati 4,3 solo dalle Awp e dalle videolottery: l’Awp è come un secchio dove ogni tanto si buttano dei soldi e quando si riempie il secchio si svuota. La statistiche dicono questo: il secchio restituisce mediamente il 14% dell’introdotto ogni 30mila partite. Si potrebbero giocare 3mila euro in una macchinetta senza vincere nulla. È possibile che magari possa poi vincere uno che punta un euro in un terminale di un’altra città. Il giocatore ha quindi scarse possibilità di vincere la somma che consente di cucire una toppa momentanea all’emorragia di danaro che minaccia praticamente tutti gli italiani, in questi tempi difficili e, se vogliamo, maledetti.
In alcune città e regioni è in atto da qualche tempo la guerra alle slot. Marce e cortei per chiederne l’abolizione. Alcune amministrazioni comunali propongono incentivi economici per gli esercenti che decidono si spegnere le macchinette mangiasoldi. Una sorta di risarcimento per la buona azione. L’azione di cancellazione di slot, videopoker e quant’altro si allarga a macchia d’olio. In Italia, siamo ormai, vivaddio, alla costituzione di un vero e proprio movimento anti-gioco.
Ma come funziona e come si articola l’infernale mondo dello slot e delle loro sorelle e fratelli? Le classiche macchinette nei bar e tabaccai erogano vincite in denaro. Ogni slot ha una scheda di gioco che determina l’andamento complessivo delle partite. Si può puntare al massimo un euro per volta (provate a fare il calcolo di quanto mangiano soltanto in un’ora) e se ne possono vincere al massimo 100. Allo Stato viene corrisposto il Prelievo Erariale Unico pari al 12,7% della raccolta più un canone Aams dello 0,8%. Totale 13,5%. Lo Stato s’ingrassa e lo scommettitore dimagrisce fino al deperimento.
Le videolottery sono terminali connessi ad una rete di gioco, presenti solo nelle sale autorizzate. Tabaccherie e bar sono escluse dall’affare. Nessuna scheda. La partita si sviluppa e si decide su un sistema centrale. Le vincite restituite vengono calcolate su tutta la rete. Si possono puntare minimo 50 centesimi fino ad un massimo di 10 euro. È possibile vincere anche 5mila euro.
Ci sono due tipi di jackpot, quello locale (fino a 100mila euro), il nazionale fino a 500mila euro. Allo Stato viene corrisposto il Preu, pari al 5%, e il canone Aams dello 0,8%. Il Bingo, da solo, frutta allo Stato 183 milioni. Le scommesse sportive 162 milioni. È andata giù l’ippica, i cavalli sono in chiara rottura: producono entrate per appena 38 milioni. I giochi numerici a totalizzatori danno allo Stato 641 milioni. Ma dove il banco la fa da padrone è con il Lotto (1,2 miliardi) e le Lotterie Nazionali (1,5 miliardi). Pezzi da novanta sono anche i gratta e vinci e gli altri presenti alla voce “apparecchi”. Le cosiddette new slot o Awp (Amusement with prizes) e le videolottery. Flipper, biliardi e biliardini vari raccolgono appena 24 milioni di euro.
Il giro d’affari complessivo è di 84 miliardi di euro. Quarantasette miliardi sono dagli “apparecchi”. Le diverse tipologie di slot machine spesso vengono confuse sovrapposte o identificate sotto la generica definizione di videopoker. Giochi estremamente diversi dal punto di vista ludico e da quello erariale. Nelle Awp su un ciclo che dura al massimo 140mila partite, la macchina restituisce il 74% dell’importo introdotto. Questa regola non vale per i videolottery, dove la proporzione tra danaro giocato e vincite è dell’85%. Ma è il sistema a decidere dove verrà emesso il premio, a Torino come a Ragusa.
La pressione fiscale per gestori ed esercenti di Awp è tra le più alte d’Europa: su quel che resta degli importi giocati, cioè il 25%, lo Stato incassa almeno il 13,5%. Lo 0,5% va ai concessionari titolari delle licenze Aams, come percentuale di servizio. Il resto si divide tra gestori-produttori delle New Slot e gli esercenti dei bar o dei tabaccai in cui sono installate.
“Siamo le vittime di un salasso”, continuano a lamentare gli esercenti. La gran parte però non pensa di spegnere le macchinette infernali. Non c’è più religione a questo mondo che fino al ’95 offriva solo videogiochi, flipper e biliardini. Poi, le macchinette con vincita in gettoni. Lo Stato è intervenuto nel 2003 e la sua mano ha provocato sconquassi materiali e morali. Il Monopolio ha stabilito i prezzi e i cicli delle partite. Le videolottery sono entrate disastrosamente in Italia nel 2009, sotto il governo Berlusconi, ovviamente, con il famigerato “Decreto Abruzzo”. Togli al cittadino, dagli un’illusione, approfitta della sua fame, e dai allo Stato.
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