Dinanzi all’ennesimo artificio dei media che approfittano della morte di Gheddafi per rispolverare la storia dell’amicizia che il nostro premier gli ha manifestato apertamente, in un tempo molto vicino, che sentiamo ormai lontanissimo, ci riserviamo il diritto di levare la nostra piccola voce al servizio di quella minoranza silenziosa che ha condiviso in più occasioni i sentimenti del Cavaliere e che non riesce a manifestarsi per tanti motivi. Il Colonnello rappresentava per molti una Libia suggestiva, moderna nelle sue contraddizioni, liberticida all’interno ma libertaria sul fronte della teocrazia islamica, beduina e beluina negli usi e costumi, ma avanzatissima nella capacità di investire le sue ricchezze, familistica e crudele nella gestione del potere, ma orgogliosamente paternalistica verso il suo popolo. Almeno così si mostrava. E le minacce e le ritorsioni all’Occidente e all’Italia potevano anche apparire una risposta alle invasioni subite e mai dimenticate.
Abbiamo ancora nella mente e nel cuore quella sera di settembre in cui abbiamo potuto godere di uno spettacolo bellissimo e reciprocamente superbo, organizzato a Piazza di Siena proprio da un Silvio Berlusconi orgoglioso e raggiante, fiero di aver ricostruito con i libici rapporti di amicizia, di aver voluto documentare in una mostra la parte tragica del colonialismo. Una serata in cui il gotha della nostra industria, insieme ai politici di rappresentanza, assisteva ammirato alla sfilata di amazzoni libiche e al carosello equestre dei nostri carabinieri per poi intrattenersi a trattare in privato il business petrolifero, a beneficio loro e del Paese.
E’ vero, un dittatore non è un esempio di umanità e di giustizia, e il Colonnello nella sua lucida follia sembrava sfidare la cosiddetta buona società ostentando comportamenti stravaganti e irritanti, che i severi rappresentanti del giornalismo nostrano non mancavano di stigmatizzare o di associare a quelli altrattanto bizzarri e libertini del nostro presidente del Consiglio. Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei: da Putin a Gheddafi, le accuse alla politica estera della "pacca sulla spalla" agli uomini forti e antidemocratici sono servite ai disfattisti a irridere, e a fomentare anche così il malcontento nelle piazze.
Noi siamo diversi, l’abbiamo sempre detto: nessuno tocchi Caino è la sintesi del nostro pensiero, non esiste un diritto ad uccidere, se non per estrema difesa del debole; la nostra religione di vita rigetta l’idea della vendetta e ci insegna a coltivare una rosa bianca per chi ci è nemico, per "colui che mi abbranca dal petto il cuore mio vivo".
Le rivoluzioni capovolgono il corso della Storia e l’ordine delle cose in modo violento e talvolta inutile: per un piccolo passo avanti della civiltà spesso si paga un prezzo troppo alto. Noi non vogliamo offuscare col nostro scetticismo una giornata che sembra aver cambiato in meglio il destino di un popolo; ma al ventenne che ha ucciso un Gheddafi braccato e ormai in fuga non faremmo un monumento equestre a perpetua memoria: non ci è sembrato un eroe ma un assassino, assetato di vendetta, che ha vinto facile su un uomo già morto.
Discussione su questo articolo