Siamo quei pargoli nati nei momenti più brutti dell’ultima guerra: siamo quei poveri incolpevoli venuti alla luce nei primi anni ’40 tra i bombardamenti dovuti dalla più disumana e feroce stupidità umana mondiale. Ultimamente ho letto che i “nostri” figli, i giovani di oggi, rimproverano aspramente a questa generazione di non essere riuscita a dare loro un domani sicuro, un avvenire tranquillo, un posto sicuro tra la famiglia, la casa e le ferie, mentre “noi”, anziani, siamo riusciti ad andare in pensione con una prospettiva di una certa sicurezza, se non addirittura con una certa agiatezza. Ebbene sì, forse ci siamo ripresi quella tranquillità che ci è stata tolta da quando per andare al Liceo facevamo dieci chilometri in bicicletta, per prendere poi la “corriera” e fare un viaggio di due ore, andata e ritorno, tutti i giorni… per poi partire per fare il militare, lontano da casa.
Ebbene sì, ora che c’è quell’agiatezza recriminata, purtroppo c’è anche da prevedere un altro tipo di viaggio irrinunciabile, un viaggio unico, questa volta di sola andata, come quello che ha compiuto un altro nato in quegli anni: Lucio Dalla.
Ho celebrato un pensionamento felice dal lavoro una volta, ora celebro un pensionamento strabiliante dalla vita di un mio coetaneo: “Dice che era un bell’uomo e veniva dal mare… parlava un’altra lingua, però sapeva amare; (…) Compiva sedici anni quel giorno, la mia mamma, (…) e stringendomi al petto che sapeva di mare giocava a far la donna col bimbo da fasciare….”
Per Lucio Dalla era marzo ’43; per me: dicembre ’42, ma la storia è la stessa, la stessa di tanti giovanotti spensierati e felici di un tempo.
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