Un’altissima lingua di fuoco ed una sinistra nuvola nera di fumo sprigionatesi dall’unica centrale elettrica di Gaza in seguito ad un raid notturno dell’aviazione di Israele: con questa eloquente immagine davanti agli occhi gli abitanti di Gaza hanno toccato oggi con mano la determinazione israeliana di mettere in ginocchio la Striscia per indurre Hamas alla resa. Nelle stesse ore l’esercito israeliano ha intimato a decine di migliaia di persone di abbandonare le loro case per evitare di essere coinvolte in combattimenti. In tutta Gaza gli sfollati sono stimati in 300 mila: ormai sono una "citta’ nella citta’", che in qualche modo dovra’ essere alloggiata e sfamata.
L’attacco alla centrale elettrica – il secondo in pochi giorni – e’ avvenuto mentre gran parte dei rioni di Gaza erano comunque al buio. In questi giorni, la maggior parte della popolazione dispone solo di due ore di corrente elettrica al giorno. Gli aerei di Israele hanno colpito la sede del ministero delle Finanze, l’abitazione (vuota) di Ismail Haniyeh, l’ex capo dell’esecutivo di Hamas, una moschea e anche i serbatoi della centrale elettrica dove erano stipati un milione di metri cubi di gasolio, di provenienza israeliana. Un disastro di simili dimensioni, a Gaza, non si vedeva da anni.
I vigili del fuoco non hanno potuto nemmeno avvicinarsi allo stabilimento in fiamme, nel timore di esplosioni o anche di un crollo delle pareti esterne a cui – secondo loro – sarebbe seguita la fuoriuscita rabbiosa di un fiume di gasolio in fiamme. Per i responsabili della centrale, una giornata disastrosa. "Israele ci aveva assicurato anche di recente che non sarebbe stata colpita", ha detto uno di essi. I 140 dipendenti, fra ingegneri e manovali, hanno perso il lavoro. La ricostruzione richiedera’, secondo le prime stime, almeno un anno. La centrale produceva 55 megawatt: ben poco rispetto alle necessita’ di Gaza, che sono stimate in 400-500 megawatt. Sono rimaste adesso forniture minime da Israele (24 megawatt) e dall’Egitto (25). Per avere un po’ di corrente elettrica in casa occorre utilizzare generatori familiari. Ma le ripercussioni sono gravi. Le pompe d’acqua e il sistema fognario sono in crisi. Un milione di palestinesi di Gaza non ha acqua corrente nei rubinetti: in casi estremi si chiede in elemosina qualche bottiglia ai vigili del fuoco.
Nel frattempo la crisi umanitaria si e’ ulteriormente acuita quando la scorsa notte le autorita’ militari hanno intimato alla popolazione di Zaitun e di Izbet Abed Rabbo di lasciare le loro case, nella previsione che quelle aree sarebbero presto divenute zone di combattimento. In giornata nel vicino campo profughi di Jabalya si sono affettivamente avuti 12 morti, fra cui una famiglia di sei persone. Decine di migliaia di persone si sono messe in marcia, percorrendo anche a piedi anche 10-15 chilometri, nelle ricerca di un posti di accoglienza a Gaza.
L’Unrwa, l’ente dell’Onu per i profughi, informa di aver accolto nelle sue istituzioni 190 mila sfollati. Altri 100 mila dovrebbero aver trovato sistemazioni precarie da parenti, amici, in locali disabitati o in giardini pubblici e marciapiedi. Nelle scuole dell’Unrwa la situazione e’ insostenibile. Nelle classi si arriva a vedere stipati anche un centinaio di donne e bambini, mentre gli uomini si raccolgono nei cortili. Il problema piu’ assillante, dicono i funzionari, e’ sfamare questa massa di sfollati che equivale – in termini israeliani – all’intera citta’ di Beer Sheva. Il Ramadan e’ finito, si aspettano tre pasti al giorno, ma nessuno sa come farli comparire. I forni lavorano a ritmi forzati, ma anche cosi’ non riescono a sopperire alla domanda. In passato l’Unrwa forniva sacchi di farina ai bisognosi che provvedevano a fare il pane a casa. Adesso che non hanno piu’ case, tutta la pressione ricade sui forni, che sono stretti d’assedio.
Per comprare un sacchetto di 50 pani piatti arabi occorre fare code, al sole, di tre-quattro ore. Nelle numerose famiglie di Gaza, quel sacchetto puo’ bastare pero’ solo un giorno o due. Al termine della giornata, il bilancio delle vittime e’ arrivato a quasi 1200. All’imbrunire, senza corrente elettrica, senza acqua corrente nei rubinetti, con il cibo che scarseggia, la popolazione di Gaza e’ rimasta ad osservare l’alta colonna di fumo che ancora si levava sulla centrale elettrica. Sembrava dire: i prossimi dodici mesi saranno durissimi per tutti.
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