Gaetano Amato è un grande attore italiano che può recitare indifferentemente al cinema, in teatro o in televisione. Dal suo sito personale, www.gaetanoamato.it, leggiamo che è stato protagonista di diverse serie televisive. Molti lo ricordano per la partecipazione alla serie poliziesca “La Squadra” dove recitava il ruolo di Sergio, il poliziotto burbero ma sempre disponibile che salterà in aria con un’autobomba all’inizio della quarta serie.
Amato ha anche recitato nel “Grande Torino”, “Il coraggio di Angela”, nella serie “Crimini”, “L’ultimo padrino”. Ha vinto numerosi premi. Ha una straordinaria capacità di passare dai ruoli drammatici a quelli comici, può interpretare il ruolo di “buono” o di “cattivo” indifferentemente e questa sua versatilità lo rende un attore completo al punto di essersi guadagnato la stima di Woody Allen e, anni fa, di Anthony Queen. Ha compiuto da poco 57 anni.
ItaliaChiamaItalia.it lo ha incontrato per fare il punto sullo stato del cinema e della televisione in Italia.
Gaetano, come nasce la tua passione per il cinema e la tua carriera d’attore?
“Come sempre avviene nella vita: per caso. Ho cominciato molto tardi questa carriera. Avevo già oltre 26 anni e mai mi aveva sfiorato l’idea di poter fare questo lavoro. Ho fatto tanto sport nella mia vita ed è per questo che a 18 anni mi sono trovato iscritto all’Isef, anche perché voglia di studiare ce n’era ben poca. Ho immediatamente cominciato ad insegnare. Poi, il caso. Un amico che frequentava un corso biennale di teatro tenuto da Ferrero, non avendo io nulla da fare quella sera, mi invitò a seguirlo. Le lezioni si tenevano a Sorrento e in verità ci andai più con la speranza di beccare la straniera che per il teatro. Ero là che assistevo alla lezione di quel giorno quando Ferrero mi chiese di salire sul palco perché gli serviva qualcuno fermo al centro del palco. Riluttante mi prestai. Dopo due mesi debuttavo con la sua regia nel Miles Gloriosus nel ruolo di Palestrione. E poi da lì, pian piano, tutto è cominciato”.
Qual è il tuo giudizio sullo stato del cinema in Italia? L’affermazione de “La grande bellezza” segna la rinascita del cinema tricolore?
“Pessimo. Così come trovo pessimo lo stato generale della cultura in questo paese. Ormai è tutto massificato, un film uguale all’altro, la mediocrità che viene premiata e la meritocrazia che viene affossata. Siamo stati maestri nel mondo per il cinema ed ora siamo praticamente superati qualitativamente da tutti. Il cinema francese per esempio. Ora se vuoi vedere una commedia carina, senza volgarità, intelligente, sempre più devi guardare al cinema francese. Siamo passati da Risi, Monicelli, Loy, Sordi, ai rutti di natale o alle scorregge primaverili. È assolutamente avvilente. C’è stato un impossessarsi del mercato da parte di alcune lobby e sono queste che ancora gestiscono il tutto. E purtroppo, senza speranza. Purtroppo non facciamo tesoro di quel che abbiamo avuto e di ciò che siamo stati. Pirandello, ne ‘L’uomo dal fiore in bocca’, faceva dire a un suo protagonista: ‘il piacere della vita è nel passato. Sono i ricordi che ci tengono legati al nostro passato che ci danno il gusto del vivere’. Se noi ne avessimo fatto tesoro forse non saremmo finiti così in basso come siamo.
Non ho amato ‘La grande bellezza’. Conosco Paolo Sorrentino dal suo esordio (fui tra i protagonisti del suo primissimo corto) e credo che questo non sia il suo miglior film. Molto meglio L’uomo in più o L’amico di famiglia, con un Giacomo Rizzo assolutamente straordinario.
La grande bellezza l’ho trovato un eccelso esercizio di stile. Paolo ha mostrato il suo talento nel muovere (a volte eccessivamente) la macchina da presa, ma sia storia che interpreti non mi hanno entusiasmato.
Una precisazione. Quando dico che non sono rimasto convinto da ‘La grande bellezza’ ovviamente faccio un distinguo col resto del cinema che si produce in Italia. Non è che sto qui a paragonare Sorrentino col film di Zalone, sia chiaro”.
Vorrei farti un paio di domande indiscrete: come mai sei uscito di scena in modo così repentino nella IV Serie de ‘La Squadra’ dove eri una delle colonne (la scena nel video allegato in questa pagina, ndr)? E come mai non appari mai nei cast della Tao due che si è specializzata sulle fiction su mafia e criminalità?
“Una cosa per volta. La squadra. Anche quella serie rientra nelle vittime del sistema Italia. Anno dopo anno ci rendevamo conto che perdeva qualità, sia nella scrittura che nella realizzazione. Chi doveva sovrintendere alla scrittura forse era poco adatta a quel ruolo. Ma si sa, conta poco quello che sai fare, conta di più chi dice che lo devi fare. Ho provato a far sentire la mia voce chiedendo una maggiore attenzione, che non si trattasse il nostro lavoro come carta straccia. E sono stato ascoltato: a fine stagione mi hanno fatto saltare in aria.
Non è vero che non lavoro per la Tao due. Cioè, non ci lavoro ora, ma in passato ho fatto cose carine con loro. Pietro Valsecchi (prima proprietario e ora solo amministratore della società) mi stimava abbastanza. Poi, anche qua, è emerso il discorso di cui sopra. La televisione italiana è in mano ai funzionari e ai casting. Capita che nelle due categorie trovi competenti o persone che non ti stimano, sempre per tornare al conta poco quello che sai fare, per cui dipendi dalle loro scelte e imposizioni: gli amici, gli amici degli amici, gli amichetti del cuore, le amichette del fegato, e così via.
In ogni caso per la Tao ho girato l’ultimo padrino (nel ruolo di Provenzano), i Ris, ultimo L’occhio del falco. In questi ultimi anni non hanno ritenuto (i casting della Tao) che potessi essere utile. Nemmeno quando si trattava di girare serie a Napoli. C’est la vie!”.
Ci puoi parlare del tuo incontro con Woody Allen che espresse giudizi lusinghieri su di te?
“Incontro strano. Strano perché è nato a distanza, via mail. Io a Roma a fare i provini e lui negli Usa a guardarli. Ero partito per essere il protagonista dell’episodio dove recitava anche Allen. Ricordo che ero a Novara, era la vigilia di Pasqua, quando mi arrivò una telefonata da Roma dove mi si chiedeva per il giorno dopo (a Pasqua appunto) di andare in ufficio a Roma per fare l’ennesimo provino cantato. Riuscii a farlo slittare per il martedì e alle 8.30 di mattina ero a Trastevere che a finestre aperte, nell’ufficio del casting, cantavo O paese do sole!
Anche quel video fu mandato ad Allen che era indeciso se chiamare me (che cantante non sono né tantomeno tenore) o un tenore vero, penalizzando poi la recitazione. Optò per la seconda ipotesi. Ero in Grecia quando mi chiamò la casting per dirmi che mister Allen mi chiedeva comunque di far parte del film, con un ruolo minore, quasi marginale. Accettai comunque anche per il piacere di vederlo sul set. E fu davvero un piacere.
Assistette in silenzio alla caciara della preparazione della scena, in pieno agosto, a Roma, al Bolognese, con 40 gradi di temperatura. Dopo un paio d’ore d’attesa, sua e nostra, si avvicinò e ci spiegò cosa avrebbe voluto facessimo. Poi sparì dietro al monitor e ne uscì dopo che la scena fu completa. Mi stavo allontanando dal set avendo finito quando mi sentii chiamare. Era lui che mi allungò la mano e mi disse semplicemente “grazie!”.
La stessa cosa mi successe anni fa con Anthony Queen, con cui ebbi la fortuna e il piacere di lavorare ne ‘Il sindaco del rione sanità’. Solo che allora, dopo aver girato la scena con lui, invece della stretta di mano e del grazie mi arrivò un buffetto e un “you are a big actor my friend”. Sono ancora qua che al ricordo mi sfarfalla lo stomaco”.
Quali sono i tuoi progetti futuri? Ti rivedremo in televisione o ti potremo solo vedere in teatro?
“Progetti? Magari. Nessun progetto, ne televisivo né teatrale né cinematografico. Sono le conseguenze di quanto sopra detto. Sarò in una delle puntate della nuova serie de ‘Il restauratore’ con Buzzanca e una partecipazione al film che segna il debutto alla regia di Sergio assisi, carissimo amico. Poi… Buio!”.
L’Italia si può considerare la capitale mondiale della cultura, eppure il nostro patrimonio artistico casca a pezzi. Si tratta solamente di incuria o dell’inevitabile declino del nostro Paese?
“Si tratta sempre dello stesso problema: incompetenza. Se Tremonti arrivò a dire che con la cultura non si mangia, tutto il resto non dovrebbe meravigliarci. Bondi, Bray, Franceschini. Continua la tradizione dei poltronisti per mestiere. Se solo avessimo capito che con le giuste competenze avremmo vinto il superenalotto in 50 milioni…”.
Sulla tua pagina Facebook esprimi giudizi molto severi verso l’ex premier Silvio Berlusconi: come giudichi la sua assoluzione al processo Ruby?
“Credo che il male di questo paese, almeno negli ultimi 20 anni, non sia Berlusconi in quanto tale, ma il Berlusconi esempio. C’è stata una degenerazione della classe politica, un imbarcare tutto e tutti pur di battere l’avversario. E in questi tutto e tutti è capitato veramente di tutto. Per poter, come dire, ‘arrangiarsi per benino le sue cose’, ha permesso a ognuno di far quello che meglio gli pareva. La corruzione è a livelli schifosi, e ancor di più lo è questa classe politica che non ha intenzione di muovere un dito per combatterla. Certo non è esclusiva colpa di Berlusconi, intendiamoci, anzi, diciamo che dall’altra sponda hanno fatto presto ad adattarsi al sistema. Hanno trasformato anche la politica in tifo da stadio, o con me o contro. Il cittadino è ormai amorfo, non pensa, ascolta le due battute in tv e si adagia sul pensiero del salvatore della patria di turno. Non approfondisce, non scava, non vuol nemmeno sapere. E di conseguenza ci ritroviamo con politici nominati, costituzione stravolta, evasione paurosa e Paese in totale decadimento.
Non voglio sottolineare che colpe Berlusconi, oltre a quella già citata, ha in tutto questo. Le leggi fatte ad hoc per difendersi hanno indebolito ancor di più la difesa che questo stato aveva. E parlo del falso in bilancio, le leggi sulla prescrizione, eccetera.
Riguardo Ruby e la sentenza, dico che le sentenze non si discutono, si può al massimo discutere la motivazione. Non mi aspettavo 7 anni ma nemmeno l’assoluzione. Vedi, al di là di tutto, di quello che farebbe il signor Silvio Berlusconi in casa sua e con chi va a aletto, a me non me ne può fregar di meno, a patto che non sia un infrangere la legge e Ruby minorenne lo era. Invece me ne frega di quel che fa il presidente del Consiglio in camera da letto, perché se con i suoi comportamenti può danneggiare anche la mia di vita, allora mi interessa un tantinello in più. Che pagasse una escort 3000 o 5000 euro, sono problemi suoi, ma se mi devo ritrovare una sua escort a mio carico, facendole fare il consigliere regionale o la parlamentare, e poi le devo pagare stipendio e vitalizio, se permetti lei tromba e il bruciore poi lo sento io.
In ogni caso, quella su Ruby è solo la sentenza dell’appello. Come sempre si dice, i gradi sono tre. Aspettiamo il terzo dove io credo ci sarà qualche sorpresa".
Per concludere: il cinema d’essai perde spettatori ogni anno. Ci dovremo rassegnare ai cine-panettoni e ad attori pescati nei reality show?
“Il problema secondo me è proprio in quel rassegnarsi. Fino a che ci sarà un popolo rassegnato, ci sarà chi di quella rassegnazione fa la propria forza. Io invece dico che bisogna combattere, anche se ci vorranno decine di anni per smantellare questa casa chiusa che è diventata l’Italia. Vedi, mi preoccupa molto chi si fida dello ‘stai sereno’. I guai cominciano proprio in quel momento”.
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