Salha Ashtewi é una studentessa in letteratura a Parigi. Originaria di Bengasi é diventata l’emblema delle nuove generazioni libiche che vogliono costruire il dopo-Gheddafi senza cadere nella trappola dell’integralismo islamico. E’ la presidentessa del «collettivo libico del 17 febbraio» (data che segnò l’inizio della rivoluzione libica).
Megafono alla mano, ha animato moltissime manifestazioni in tutta Europa per sensibilizzare l’opinione pubblica contro il regime del Colonnello Gheddafi. Molti dei suoi amici e dei suoi parenti sono stati imprigionati ed uccisi dal precedente regime, ma oggi la Libia sta ritrovando, sia pur tra molte difficoltà, la via della libertà.
A meno di quaranta giorni dalle elezioni presidenziali francesi ci tiene a sottolineare la sua gratitudine ed il suo pieno sostegno al Presidente uscente Nicolas Sarkozy.
ItaliaChiamaItalia ha incontrato a Parigi, all’Assemblée Nationale, Salha Ashtewi accompagnata da Reem Elsheshtawy Reem e da Mohamed Balaam. «Ci sono Paesi come la Francia che sono grandi – dice Salha Ashtewi citando Malroux – quando lo sono soprattutto per gli altri. Senza la determinazione del Presidente Sarkozy non avremmo mai potuto liberarci di Gheddafi». L’intervento francese é stato determinante per liberare Bengasi: «Se non ci fosse stata l’aviazione militare francese – continua Salha – la mia città natale sarebbe caduta nelle mani dei mercenari assoldati da Gheddafi che sono riusciti comunque a fare diversi attentati mortali come quello davanti al tribunale in cui persero la vita decine di innocenti».
Cosa cambia ora per la Libia?
«Prima eravamo un insieme di tribù tenute insieme da un regime che per quarant’anni ha usato il pugno di ferro contro ogni forma di opposizione. Ora dobbiamo fare attenzione sia agli estremisti islamici che vorrebbero imporre la sharia, sia agli uomini del precedente regime che, sotto altre spoglie, tenteranno di manovrare le leve del potere anche grazie agli ingenti capitali sottratti al popolo libico e messi al sicuro nelle banche straniere».
Cosa si propone l’associazione da te presieduta?
«Noi siamo un collettivo di giovani sparsi in tutta Europa: ci siamo prefissi il compito di sensibilizzare l’opinione pubblica europea sulla nostra situazione. Se vogliamo che le primavere arabe facciano sbocciare la libertà in tutto il Nord Africa, l’Europa non deve lasciarci soli. Abbiamo bisogno dell’Europa, del suo sostegno politico favorendo scambi culturali ed economici. In una parola dobbiamo agire per unire le due sponde del Mediterraneo».
Venerdì scorso é stato arrestato in Mauritania il genero di Gheddafi ed ex capo dei servizi segreti libici, Abdullah El Senoussi, accusato di crimini contro l’umanità. La Corte Penale Internazionale dell’Aia ne reclama l’estradizione al pari della Francia che vuole processarlo per l’attentato terroristico del 19 settembre 1898 contro il volo UTA 772 in cui persero la vita 170 passeggeri, tra cui 54 francesi…
«Non discuto le ragioni della Francia e neanche quelle della Corte Penale Internazionale -afferma Salha a colloquio con ItaliaChiamaItalia – ma penso che a noi libici spetti la precedenza. Senoussi é accusato di parecchi crimini in Libia. Fu lui ad ordinare l’uccisione di 1200 detenuti nel 1996 nel carcere Abou Salim di Tripoli. Non scordiamoci che l’arresto, sempre voluto da Senoussi, di un avvocato che rappresentava le famiglie di quei detenuti, fu la causa scatenante della rivoluzione libica. Per questo le nostre autorità insisteranno per far estradare e processare Senoussi in Libia».
Per finire parliamo un po’ delle relazioni tra Italia e Libia…
«So a cosa alludi – risponde Salha con un sorriso malizioso – ; Silvio Berlusconi era molto amico del Colonnello Gheddafi, un’amicizia che noi libici facevamo fatica a capire e a giustificare. Da cosa era dettata? Dagli interessi dell’Eni? Sarebbero stati tutelati comunque perché antecedenti a Berlusconi. Dalla necessità di riappacificarsi dopo la parentesi coloniale? Ma noi libici abbiamo sempre avuto un buon rapporto con gli italiani. Se c’era qualcuno che invece gettava benzina sul fuoco quello era proprio il Colonnello Gheddafi che utilizzava alcuni simboli della nostra storia come Omar-El Mukhtar (il leone del deserto catturato e fatto impiccare da Rodolfo Graziani) per aizzare l’odio anti-italiano salvo poi cambiare del tutto atteggiamento davanti alla promessa del governo italiano di costruire, come riparazione per i danni coloniali, la famosa autostrada dell’amicizia di 1700 Km che avrebbe dovuto attraversare tutta la Libia dal confine con la Tunisia a quello con l’Egitto. Peccato che quella promessa sia rimasta lettera morta al pari delle altre promesse di ammodernamento del Paese fatte da Gheddafi. In conclusione non ho mai capito quale fosse la vera natura dei rapporti tra Gheddafi e Berlusconi, ma questo ora appartiene al passato. La Libia e l’Italia hanno nuovi governi che sapranno rinsaldare i legami di amicizia e di cooperazione tra i nostri popoli».
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