Francesco Guccini è sempre lui, solido e imperturbabile come l’Appennino tosco-emiliano che gli è tanto caro. Non fa più concerti, ma senza dubbio è ancora protagonista della scena culturale.
Vive in montagna, a Pavana, nella casa di famiglia, a due passi dal mulino dei nonni. E dalle pagine de Il Resto del Carlino dice cosa pensa delle cause del dissesto idrogeologico che ha sconvolto l’Emilia-Romagna: “Non sono un tecnico, ma credo che la poca manutenzione contribuisca ad accrescere i danni provocati dal cambiamento climatico”.
“Vedere le case vuote mi dà pena – aggiunge l’artista che il 15 novembre presso l’ex cartiera Burgo di Lama di Reno presenterà “Così eravamo”, libro di racconti e ricordi da poco uscito -. Negli ultimi anni qualche abitazione si ripopola di stranieri che, nel giro di una generazione, diventano italiani, magari mantenendo un legame con il paese d’origine. Esattamente come è successo ai nostri connazionali emigrati in America”.
“A cavallo del Novecento, da queste zone ci fu una massiccia ondata migratoria che riguardò soprattutto i giovani adulti divenuti in gran parte minatori di carbone. Una volta, negli Stati Uniti, mi capitò per le mani un elenco telefonico del Vermont su cui scorsi un cognome locale, Nativi. Mosso dalla curiosità composi il numero e chi mi rispose mi raccontò la propria storia: stavo parlando, in inglese, con un ingegnere figlio di un immigrato pavanese. I migranti di oggi saranno gli italiani di domani”.