Le immagini di cariche della polizia in tenuta anti-sommossa a Manama in Bahrain, contro giovani col volto coperto che lanciano molotov in strade dense di fumogeni si sono alternate oggi alla seconda giornata di prove dela Gran premio di Formula Uno.
Grazie alla gara il mondo torna a puntare i riflettori sulla rivolta popolare da piú di un anno violentemente repressa dal regime sunnita di Manama sostenuto da Arabia Saudita e dai Paesi occidentali. D’altro canto, proprio a causa dello stesso Gran Premio la rivolta della maggioranza sciita del piccolo regno del Golfo riprende vigore, con gli attivisti che tenteranno fino a domani di sfruttare per la loro causa l’attenzione mediatica.
Un morto, decine di feriti e un centinaio di arresti è il bilancio, finora, della seconda delle tre giornate di proteste e di scontri tra manifestanti e forze governative in località ai margini della capitale e relativamente lontane dal circuito di Sakhir. Qui oggi si è svolto il secondo tradizionale giorno di prove alla vigilia della gara domenicale.
Un anno fa il Gran Premio del Bahrain era stato cancellato a causa delle violenze, costate la vita a 35 persone, per lo piú dimostranti ma anche agenti governativi. Quest’anno quaranta milioni di dollari sono stati spesi dalla casa reale dei Khalifa per ospitare l’evento e dimostrare cosí che la vita nel regno dei Due Mari è tornata normale. Ma le immagini degli scontri hanno peró mandato in fumo i piani della casata sunnita, che da piú di un anno denuncia – assieme all’alleato saudita – il presunto complotto sciita guidato dal vicino Iran.
‘Dobbiamo penalizzare il 90% della popolazione perche’ il 10% è contro il Gran Premio? – ha commentato oggi Jean Todt presidente della Fia rispondendo a chi critica la scelta di far disputare il GP nonostante quanto sta avvenendo nelle strade – La mia risposta è no. Purtroppo da parte dei media c’‚ attenzione, a torto o a ragione, per la minoranza". Todt è convinto che "lo sport della Formula 1 non subirà danni d’immagine".
A gettare benzina sul fuoco della tensione ci pensa il caso di Abdul Hadi Khawaja, uno dei 14 attivisti condannati nei mesi scorsi per la rivolta dell’anno scorso e da oltre due mesi in sciopero della fame. Da ieri in sciopero della sete. Khawaja, che è anche cittadino danese, è ricoverato, sotto sorveglianza, in un ospedale governativo. La sua morte potrebbe far saltare definitivamente la pentola a pressione del Bahrain.
Il primo "martire" del secondo round della rivolta si chiama invece Salah Habib e ha 37 anni. Il suo corpo è stato ritrovato senza vita stamani su un tetto di una casa di Sakhura, località epicentro della rivolta dove ieri notte si sono svolti duri scontri tra manifestanti e le forze dell’ordine. Manama ha riferito che è stata aperta un’inchiesta sulla morte di Habib, ma gli attivisti affermano che il loro compagno è stato ucciso o dalle percosse degli agenti o da proiettili di gomma sparati a distanza troppo ravvicinata.
I funerali di Habib si svolgeranno domani, in contemporanea con il via della gara automobilistica. Mentre stasera, come annunciato, cortei di protesta convocati dai partiti di opposizione e dai "Ragazzi del 14 febbraio" – gruppo di giovani attivisti protagonisti della rivolta scoppiata nel febbraio 2011 – sono stati respinti dalle forze di sicurezza.
Un’avanguardia di circa 150 dimostranti piú agguerriti si è scontrata con gli agenti alla rotonda di Diraz, sobborgo sciita di Manama, mentre circa 7.000 manifestanti avevano sfilato nei quartieri occidentali, chiedendo radicali riforme costituzionali e invocando la cancellazione in extremis del Gran Premio, in Bahrain dal 2004.
Nonostante l’area del circuito di Sakhir sia pesantemente circondata da un rigido apparato di sicurezza e da blindati della polizia, membri di alcune scuderie si sono detti scossi dalle scene di violenza i cui echi sono giunti sulle gradinate e sulla pista. Due tecnici del team di Force India avevano ieri abbandonato il circuito e fatto ritorno in Gran Bretagna ma la squadra, dopo aver rinunciato al primo giorno di prove, è tornata in gara oggi.
Il Bahrain, che a differenza degli altri Paesi del Golfo, non ha particolari risorse energetiche, è un elemento chiave nello scacchiere filo-occidentale dell’area e ospita la base della Quinta Flotta americana. Soprattutto per questo nel corso di questi 14 mesi le proteste della maggioranza sciita, che si dice discriminata dalla dittatura sunnita dei Khalifa, hanno trovato scarso sostegno diplomatico da parte dell’Occidente e poca attenzione da parte dei grandi media. La rivolta del 2011, ispirata agli altri movimenti di protesta scoppiati nei Paesi arabi dal dicembre 2010 e ancora in corso, era stata repressa grazie al sostegno militare diretto dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti.
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