Convegno organizzato al Senato dal comitato scientifico Faim, Forum Associazioni Italiane nel Mondo, sulla nuova emigrazione italiana. Enrico Pugliese, coordinatore del comitato, nella relazione presentata durante l’incontro, ha spiegato che l’Italia vive una situazione di “nuova emigrazione”, come non succedeva dal secolo scorso. Il saldo, infatti, è negativo, ci sono cioè più partenze che arrivi. Inoltre partono persone di ogni età e classe sociale, perché la crisi comunque ha colpito in maniera trasversale la popolazione italiana.
Moltissimi gli italiani che non si iscrivono all’AIRE, Anagrafe italiani residenti all’estero. Si trasferiscono oltre confine per studio, lavoro, per ricominciare una vita e dicono di non voler più alcun rapporto con l’Italia. Poi però non si iscrivono all’AIRE in particolare perché, questa è la ragione più frequente, “perdiamo l’assistenza sanitaria in Italia”. Il che è vero fino a un certo punto, ma questo è un aspetto comunque che frena le iscrizioni.
Pugliese lo sa molto bene, perché a parlare sono i numeri. “I dati relativi a nuovi arrivi di italiani prodotti dagli istituti di statistica dei paesi di immigrazione sono sempre largamente superiori, in generale almeno doppi, rispetto a quelli italiani”: che significa? I dati italiani si basano sulle iscrizioni AIRE, mentre quelli dei paesi ospitanti sulle effettive presenze. E la differenza tra le due cifre è sempre significativa.
CHI SONO QUELLI CHE SE NE VANNO?
Ad andarsene sono soprattutto giovani altamente scolarizzati che non riescono a trovare un lavoro che possa davvero gratificarli. In Italia la loro situazione lavorativa è precaria, così partono. Ma la nuova emigrazione non è come quella passata, spiega Pugliese, “se pensiamo all’apparente paradosso per cui la principale regione di emigrazione siano la Lombardia e il Veneto, da cui partono giovani altamente qualificati, ma anche meno giovani che hanno perso il lavoro in settori industriali negli anni della crisi”.
DOVE VANNO?
Germania, Inghilterra, Francia, Svizzera. Ma anche Spagna e Belgio. “Pressoché tutti i paesi europei – spiega Pugliese illustrando l’indagine condotta dal Faim – hanno riformato negli ultimi anni la legislazione del mercato del lavoro allo scopo di renderlo più flessibile. Nel Regno Unito recentemente vi è stata una larga diffusione degli ‘zero hours contracts’, una tipologia di assunzione nel quale il lavoratore si rende disponibile a essere chiamato senza vincoli di tempo e ore di lavoro” e utilizzata soprattutto per i lavori di assistenza domestica, com’era da noi con i voucher.
ASSOCIAZIONISMO IN CRISI
“Innegabile l’esistenza di una crisi: le associazioni sono sempre meno frequentate dagli italiani nel mondo, che lamentano la scarsa capacità di attrarre giovani. Occorre pertanto un sostanziale ammodernamento delle associazioni, che dovrebbero essere in grado di offrire orientamento al lavoro, assistenza fiscale, supporto nel campo della normativa sul lavoro”. In pratica “l’associazionismo in rete e di scopo sembra dover caratterizzare la scelta della nuova emigrazione”, evidenzia Pugliese. E ha ragione.
Anche i Comites soffrono questa crisi. L’età media del Comites di New York, il più importante per numero di iscritti AIRE nella ripartizione estera Nord e Centro America, è di 70 anni. Così non va, così non può funzionare.
Viviamo nel terzo millennio, il futuro è adesso. O associazioni e organismi di rappresentanza sapranno coinvolgere le nuove generazioni, dando loro anche incarichi di responsabilità, oppure tutto ciò che di buono è stato costruito negli anni rischia di sparire.
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