Sara’ ora una ex dottoressa dell’universita’ a dover dare spiegazioni del perche’ un feto si trovava in un freezer insieme alle cellule staminali. Sulla scatola che lo conteneva, trovata nel Dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’Universita’ Bicocca di Milano, c’era infatti un foglio con su scritto il nome di una donna che ha lavorato in passato nella struttura. Su questo elemento ora indaga la Procura di Milano, che ha aperto un’inchiesta al momento senza ipotesi di reato ne’ indagati. Secondo le prime indagini, condotte dagli uomini della Squadra mobile di Milano e coordinate dal pm di Milano, Maria Teresa Latella e dal procuratore aggiunto Alberto Nobili, il feto presenterebbe punti di sutura riferibili a un aborto terapeutico.
In Bicocca non sono comunque permesse ricerche di questo tipo: ‘Non abbiamo questa vocazione – ha detto Marina Lotti, direttore del dipartimento dell’area U3 dell’universita’ – e non ci e’ neanche mai stata fatta la richiesta di lavori di ricerca su tessuto fetale’. Inoltre il direttore ha spiegato due anomalie del caso: ‘In ricerca – ha continuato – non si utilizzano feti interi, ma solo una parte di essi. Di fatto, poi, a -80 gradi non e’ piu’ utilizzabile, perche’ i tessuti, a quelle temperature, sono rovinati’.
Gli inquirenti, ora, stanno cercando soprattutto di risalire alla provenienza del feto: quando si verifica un aborto, infatti, la madre puo’ acconsentire alla donazione delle cellule staminali, prelevate dal feto e inviate al centro di Terni, che poi le smista nelle varie sedi di sperimentazione, come il dipartimento di Bicocca. Di tutti questi passaggi deve esserci sempre una tracciabilita’ documentale interna agli ospedali e ai centri coinvolti. Proprio in queste ore, poi, e’ in corso la perizia necroscopica sul feto per stabilire di quanti mesi fosse – verosimilmente di quattro o cinque mesi – l’etnia della madre, le cause dell’aborto e gli eventuali trattamenti medici subiti per il prelievo di cellule staminali.
Il feto e’ stato trovato venerdi’ da due ricercatori del laboratorio del dottor Angelo Vescovi. Si trovava in un congelatore all’interno di una stanza comune del terzo piano dell’edificio di biotecnologie, in cui diversi gruppi di ricerca, compreso quello di Vescovi, possono depositare il proprio materiale in quattro grossi armadi che mantengono la temperatura a -80 gradi. ‘Potrebbe essere stato li’ da chissa’ quanto tempo’, si era sbilanciata a dire in mattinata, Marina Lotti raccontando che: ‘I dottorandi hanno notato una scatola bianca di cui non conoscevano la provenienza, nel tentativo di far spazio tra i loro cassetti’.
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