In occasione della riunione della Consulta dei Veneti, che si terrà a Venezia dal 9 all’11 giugno, l’on. Marco Fedi, deputato Pd eletto all’estero, ha inviato al Consultore Fabio Sandonà (Australia), il contributo scritto che riportiamo di seguito:
Gentile Consultore Sandonà,
in occasione della prossima riunione della Consulta dei Veneti nel Mondo desidero trasmettere a Lei e a tutti i partecipanti il mio sincero augurio di buon lavoro. L’appuntamento di Venezia è importante perché, oltre a segnalare una rinnovata attenzione della Regione Veneto verso la sua emigrazione, consente di delineare meglio il contesto in cui tutti noi siamo chiamati ad operare. Un contesto, quello dell’emigrazione italiana, che è progressivamente mutato in conseguenza di fattori oggettivi e contingenti.
Per quanto riguarda l’Italia un elemento di grande rilevanza, e preoccupazione, riguarda la ripresa dei flussi migratori verso l’estero dovuti alla prolungata crisi economica con le sue inevitabili conseguenze sociali e culturali.
Gli italiani hanno ripreso a partire. Uomini e donne, attraverso la mobilità globale, cercano di soddisfare il bisogno di lavoro e di un futuro migliore.
L’analisi del decennio mostra chiaramente questa tendenza: sulla base dei dati Aire, infatti, è possibile quantificare in 817.000 il numero di italiani complessivamente espatriati dal 2006 al 2015. Mentre i connazionali ufficialmente residenti all’estero al 31 dicembre 2015 erano 4.811.163, in crescita di quasi duecentomila unità in un anno. Nel 2015 sono stati 107.529 gli italiani emigrati. Il 56% sono uomini, il 44% donne.
La vera novità è però rappresentata dagli espatriati nella fascia di età tra i 20 e i 40 anni: nel 2015 ne sono ufficialmente emigrati 54.540, rendendo questo segmento maggioranza assoluta. Per quanto riguarda la provenienza regionale, la Lombardia è al primo posto superando i 20mila espatri annui. Il Veneto è al secondo posto con 10.374 partenze.
È sintomatico come – fra le prime tre regioni italiane di espatrio – ben due siano del Nord, confermando un trend che disegna ormai i movimenti migratori in due fasi: dal Sud verso il Centro Nord Italia, e dal Centro Nord verso l’estero. Anche nella fascia 20-40enni la Lombardia resta in testa tra le regioni di espatrio. Interessante inoltre notare come fra i 30-40enni siano Veneto e Lazio le prime regioni.
Questi dati, di per sé significativi, sono peraltro sottostimati in quanto non includono coloro che si muovono per mobilità temporanea di lavoro e che non rientrano nelle registrazioni ufficiali.
Questi numeri, in ogni caso, ci sollecitano a riflettere sull’urgenza di aggiornare le politiche, nazionali e regionali, verso l’emigrazione italiana. Gli attori istituzionali in questo contesto svolgono un ruolo fondamentale, a partire da quegli enti locali che quotidianamente sono interessati dalla trasformazione dei rispettivi territori. Tuttavia, un ruolo altrettanto importante può svolgerlo l’associazionismo, a condizione che sia capace di rinnovarsi e di accettare la sfida della contemporaneità.
Le Regioni hanno acquisito nel tempo una funzione sempre più rilevante in campo migratorio. Le leggi regionali hanno contribuito a rinsaldare i rapporti con le comunità all’estero dal punto di vista economico, commerciale e culturale. Anche l’associazionismo è andato modificandosi contribuendo a favorire nuove collaborazioni tra i territori in molti settori: economico, turistico, commerciale e culturale.
L’orizzonte internazionale nel quale l’emigrazione italiana è proiettata ha reso evidente come essa sia una risorsa anche per lo sviluppo economico del nostro Paese.
Gli italiani all’estero, in qualsiasi settore operino, portano con sé bisogni culturali, stili di vita, consumi, che rendono la loro esperienza un fattore di internazionalizzazione dell’economia italiana. E questo riguarda i nuovi emigrati ma, nello stesso modo, gli italiani di prima, seconda e terza generazione. Il ruolo che le nostre comunità possono avere nelle dinamiche di import-export, di commercializzazione del “made in Italy”, di valorizzazione delle imprese italiane è decisamente strategico. Basti pensare al turismo e al suo potenziale, valorizzato finora soltanto in minima parte.
Lo stesso contributo che l’emigrazione ha dato al Pil italiano è indicativo; lo si può valutare storicamente attraverso le cifre riguardanti le rimesse da una parte e le esportazioni del “made in Italy” dall’altra.
Occorre, quindi, aggiornare l’analisi e l’interpretazione dei rapporti tra emigrazione e sviluppo economico, tra emigrazione e produzione-commercializzazione di beni e servizi. Ciò costituirebbe un punto di partenza per sviluppare azioni innovative sia a livello regionale che nazionale, favorendo, tra l’altro, una crescita dell’associazionismo regionale che potrebbe essere chiamato ad interpretare un ruolo inedito e originale.
Per queste ragioni, credo che le consulte regionali debbano caratterizzarsi sempre più come strumenti di confronto e di elaborazione.
In particolare, questo è vero per la Consulta del Veneto, che rappresenta comunità operose ed integrate che hanno raggiunto riconoscimenti e prosperità in tutto il mondo. Gli emigrati veneti si sono distinti anche per la loro capacità di promuovere il coinvolgimento delle generazioni più giovani, accrescendone positivamente i valori identitari e alimentando il senso di appartenenza ad una grande comunità.
Oggi più che mai, è importante sostenere il movimento associativo regionale, sia nel senso di aumentare i livelli di protezione e di reciproca solidarietà che di preservare i rapporti della Regione con la sua vasta e diffusa diaspora.
I veneti all’estero, e in particolare in Australia da dove provengo, hanno saputo promuovere e valorizzare la loro terra d’origine sia per quanto riguarda la cultura che l’economia.
I dati economici, del resto, mostrano che esiste un legame piuttosto stretto tra l’interscambio commerciale dell’Italia e le aree geografiche maggiormente interessate dall’emigrazione italiana del passato e dai flussi del presente. Se il nostro mercato interno è in crisi, esistono mercati più dinamici che possono essere un utile punto di riferimento per i nostri prodotti, per il nostro turismo, per la professionalità dei nostri giovani. Un contributo in questa direzione può provenire quindi anche dalle nostre comunità nel mondo e dalla rete associativa che li organizza.
Il sostegno all’associazionismo regionale deve essere considerato una rete produttiva, capace di dare un ritorno certo e vantaggioso. Per queste ragioni, i legami con la terra d’origine, anche in tempi difficili, sono da considerare investimenti utili e produttivi. Con i migliori auguri di buon lavoro,
On. Marco Fedi
Discussione su questo articolo