Presso la Sala delle Conferenze Internazionali del Ministero degli Affari Esteri si è tenuta ieri la conferenza “Women for peace: the Afghan challenge”, nell’ambito del progetto “La partecipazione delle donne al processo di pace e stabilizzazione dell’Afghanistan” sviluppato da Women In International Security (WIIS) Italia ed organizzata con il supporto del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale nell’ambito del Piano d’Azione Nazionale su Donne, Pace e Sicurezza 2020-2024 (NAP WPS).
Promosso dall’antenna italiana del WIIS, associazione internazionale dedicata alla promozione della leadership e dell’avanzamento professionale delle donne nell’ambito della pace e della sicurezza internazionale, l’evento ha come obiettivo quello di promuovere un dialogo continuo sul futuro dell’Afghanistan e sui diritti delle donne nel Paese, fornendo un sostegno rafforzato alle peacemaker afghane, molte delle quali sono giunte a Roma per partecipare all’evento: da Fatima Gailani —già presidente della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa a Kabul e poi negoziatrice con i Talebani negli incontri collaterali all’Accordo di Doha firmato a febbraio 2020 dai militanti islamisti con Washington— a Frozan Nawabi —ex Direttore Generale per i Diritti Umani e per gli Affari Internazionali delle Donne del Ministero Affari Esteri dell’Afghanistan— passando per Mahmouba Seraj, giornalista ed attivista che vive a Kabul e che si batte quotidianamente per i diritti delle donne, intervenendo anche alle Nazioni Unite.
L’evento, aperto dal nostro Sottosegretario agli Affari Esteri Maria Tripodi e dal Presidente di WIIS ItalyLoredana Teodorescu, si è poi sviluppato in due panel moderati rispettivamente da Nicoletta Pirozzi, Vicepresidente WIIS Italy, e da Azzurra Meringolo, giornalista e cofondatrice di WIIS Italy, con le conclusioni affidate all’Ambasciatore italiano in Afghanistan, Natalia Quintavalle e la partecipazione —tra gli altri— di Gianfranco Petruzzella, inviato speciale italiano per l’Afghanistan, e —in collegamento video— di Irene Fellin, Rappresentante Speciale del Segretario Generale della NATO per l’Agenda Donne, Pace e Sicurezza, nonché Presidente Onorario di WIIS Italy.
Uno dei primi interventi in questa conferenza che ha visto l’alternarsi delle attiviste afghane e delle interlocutrici della diplomazia e dell’associazionismo internazionale, è stato proprio quello di Fatima Gailani, figlia di Pir Sayed Ahmed Gailani, il leader di uno dei partiti che negli Anni ’90 del secolo scorso maggiormente si opposero e combatterono contro i sovietici.
Per l’ex presidente della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa a Kabul, il collasso della Repubblica islamica e il ritorno al potere dei Talebani nell’estate 2021 non sono stati una sconfitta militare, ma una bancarotta politica, con responsabilità diffuse.
«In Afghanistan siamo ormai prossimi alla catastrofe. Urge un nuovo approccio che non continui a mettere sotto accusa i Talebani, ma che sappia ricondurli dentro un percorso negoziale già tracciato negli incontri internazionali, sfruttando anche la loro ambizione di vedere riconosciuto l’Emirato islamico, ma chiedendo loro di rispettare gli impegni assunti» ha spiegato Fatima Gailani.
«La priorità deve essere quella di evitare a tutti i costi la disintegrazione dell’Afghanistan. I Pashtun, i Tagiki, gli Hazara, gli Aimaq, i Saryk e tutte le altre minoranze etniche fanno parte dell’Afghanistan e devono essere integrate nell’ambito di un processo di pacificazione nazionale. Non si può continua a far prevalere le differenze» ha invece sottolineato Mahbouba Seraj, nota esponente della società civile, attivista per i diritti delle donne e giornalista.
Nel frattempo, concretamente, alle donne afghane non è neanche più concesso spostarsi da sole, né studiare o lavorare.
«Bisogna assolutamente trovare strumenti per costringere i Talebani a dare conto delle loro azioni ed a riconoscere le donne afghane come attori politici, iniziando da quelle che vivono nel Paese. Ma è sempre più difficile fare sentire la nostra voce, fornire raccomandazioni concrete, elencare proposte e non ho ancora compreso se conferenze come questa possano davvero essere utili: ne abbiamo fatte tante e non cambia nulla, le politiche repressive nel nostro Paese continuano» mette in evidenza Nilofar Ayoubi, della rete Women’s Political Participation.
Secondo il nostro Ambasciatore in Afghanistan, Natalia Quintavalle, intervenuta in collegamento video, «va comunque mantenuta la posizione del non riconoscimento dell’Emirato, senza naturalmente rinunciare al dialogo con i Talebani» e dello stesso avviso è anche l’inviato speciale dell’Ue Tomas Niklasson: «niente riconoscimento, ma cerchiamo di evitare l’ulteriore isolamento del Paese».
La presenza diplomatica a Kabul è rischiosa, ma è indispensabile per controllare che l’assistenza umanitaria arrivi senza interferenze ai legittimi destinatari ed a mettere in evidenza le aspettative della Comunità Internazionale di inclusività e di rispetto dei diritti da parte dei Talebani.
In quanto ad assistenza umanitaria, ammontano già a 2,3 miliardi di dollari gli aiuti umanitari che l’Afghanistan ha ottenuto dai Paesi occidentali. Il dato è confermato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento dell’Assistenza Umanitaria (UNOCHA), secondo il quale i maggiori contributi sono arrivati da Stati Uniti, Regno Unito, Banca Asiatica di Sviluppo e Banca Mondiale.
«Il denaro è stato speso precipuamente in sicurezza alimentare, istruzione e sanità, ma senza la partecipazione delle donne che non sono state neanche coinvolte perfino nelle operazioni di consegna umanitaria, per via delle restrizioni introdotte dalle autorità talebane, come il divieto di viaggiare per più di 45 miglia (72 km) o di salire a bordo di voli nazionali ed internazionali senza un “mahram” —un parente uomo ritenuto il guardiano— o come l’obbligo di coprirsi il volto in pubblico e di uscire di casa solo in caso di assoluta necessità» contesta in una nota ufficiale diffusa proprio ieri la Women In International Security (WIIS).
Secondo la WIIS, sarebbe auspicabile istituire un Consiglio Consultivo per l’Afghanistan, composto da esperti con background diversi, che conoscano le esigenze locali, in maniera tale che i Governi che hanno fornito aiuti possano monitorarne la distribuzione e garantire che i finanziamenti apportino miglioramenti per i più vulnerabili, includendo quindi le donne e più in particolare le ragazze.
«WIIS Italy considera che sia necessario che la visione e le esigenze delle donne siano incluse in tutte le politiche formulate sull’Afghanistan, ritenendo impossibile la stabilizzazione del Paese senza le donne» conclude Loredana Teodorescu, Presidente di WIIS Italy, responsabile del Network delle Donne Mediatrici del Mediterraneo.
La necessità di creare progetti incentrati sul genere, così come di fornire sostegno psicologico alle donne afghane e di garantire loro sicurezza fisica, prevenendo quindi atti di violenza, è quanto è emerso preponderantemente dai lavori del primo anno di vita della Task-Force voluta dalla WIIS che a tale scopo ha coinvolto mediatrici di pace, negoziatrici ed esperte di genere e di sicurezza.
Imprescindibile, secondo le valutazioni delle componenti del gruppo di lavoro del WIIS, è anche riuscire a creare in Afghanistan attività generatrici di reddito e continuare a sostenere la cooperazione tra donne in campo politico, sociale, economico e culturale.