Si tengono ogni 5 anni, durano 6 mesi e mettono in mostra le innovazioni tecniche e scientifiche che possono migliorare le condizioni di vita sociale ed economica del pianeta. Sono le Esposizioni Universali (o ‘Expo’) e vantano una storia antica e affascinante. La prima venne organizzata a Londra, nel 1851, oltre 160 anni fa; la penultima, d’impostazione avveniristica, a Shangai nel 2010. Passando per l’Expo di Montréal nel 1967 (con l’Italia presente) che, sotto il tema “L’Uomo e il suo Mondo”, fu visitata da oltre 50 milioni di persone.
L’ultima è stata inaugurata il primo maggio scorso, a Milano, e costituisce il più grande evento mai realizzato sull’Alimentazione. Per sei mesi Milano diventerà una vetrina mondiale in cui i Paesi mostreranno il meglio delle proprie tecnologie per dare una risposta concreta a un’esigenza vitale: riuscire a garantire cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti i popoli, nel rispetto del Pianeta e dei suoi equilibri.
Un’area espositiva di 1,1 milioni di metri quadri, 145 Paesi coinvolti (che rappresentano il 94% della popolazione mondiale), oltre 20 milioni di visitatori attesi. Un appuntamento imperdibile con la storia, un palcoscenico prestigioso, uno sguardo sul futuro, a cui ha preferito clamorosamente sottrarsi un grande Paese come il Canada. Per rendere l’idea: ci saranno Albania, Angola, Burundi, Eritrea, Grecia, Mali, Nepal, Pakistan, Ruanda, ma non il Canada: dove, peraltro, vivono quasi 2 milioni di italo-canadesi.
Il governo conservatore di Stephen Harper ha preferito declinare l’invito a causa dei costi esorbitanti legati all’investimento richiesto. Gli stessi motivi addotti dall’Australia. Una scelta scellerata. Al limite, per salvare la faccia, bastava fare come gli Stati Uniti, che hanno aderito ‘per il rotto della cuffia’, pur riducendo le ambizioni e le dimensioni del proprio Padiglione, per mancanza di fondi privati. Un compromesso lungimirante e intelligente.
Il problema, però, non sono i soldi: quelli ci sono, tanto che Ottawa ha recentemente annunciato il pareggio di bilancio. Le casse dello stato canadese godono ottima salute. Il punto è un altro: il governo di Harper ha altre (discutibili) priorità.
Nell’ultima manovra finanziaria, i conservatori hanno stanziato, per i prossimi 12 mesi, 360 milioni di dollari per finanziare la missione militare – recentemente prolungata fino al marzo 2016 – contro l’ISIS in Siria e in Iraq (che si aggiungono ai 122 milioni già spesi); oltre ad aver stanziato 11.8 miliardi, spalmati su 10 anni, per le Forze Armate; e 292.6 milioni, su 5 anni, a favore della GRC (Gendarmerie royale du Canada). E non è finita qui: lo scorso marzo, Ottawa ha accordato 75 milioni ad un’impresa dell’Ontario per finanziare la ricerca e lo sviluppo di telecamere di sorveglianza e di sensori aerei, terrestri e marittimi. Una pioggia di soldi. Tantissimi, esagerati, se paragonati a quelli che sarebbero serviti per partecipare all’Expo: “solo” 50 milioni di dollari, cioè un esborso di 1.5 $ a canadese! Bazzecole!
La giustificazione di Ottawa, secondo cui il ‘ritorno economico’ non sarebbe stato adeguato all’investimento effettuato, è miope e pretestuoso. Forse, a far storcere il naso al governo Harper è stato il tema: “Nutrire il pianeta, Energia per la vita”, magari non sufficientemente attraente e stimolante. Del resto in Canada quasi un milione di persone soffrono la fame, e le sabbie bituminose (e non altre forme alternative e “verdi”) costituiscono la principale forma di energia. Temi scomodi: quindi, meglio non parlarne. Anche perché le elezioni sono dietro l’angolo. E pazienza se il Canada è il 4º più grande Paese esportatore mondiale di prodotti coltivati, il 3º di bovini ed il 2º di suini! Ovvero, il 5º esportatore mondiale di prodotti agricoli. E pazienza se l’industria agroalimentare, che occupa 2.1 milioni di canadesi, rappresenta addirittura l’8% del PIL. Incredibile!
Insomma, il Canada ha avuto l’ingiustificabile spocchia di non partecipare all’Expo dedicato proprio alla nutrizione mondiale. Uno schiaffo al mondo intero, ma soprattutto all’Italia che, ‘diplomatica’ per definizione, si è guardata bene dall’alzare la voce con una protesta ufficiale. Meglio far finta di niente! Ma a perderci, nel lungo periodo, è soprattutto il Canada: la sua assenza assordante alimenterà il fastidioso pregiudizio che il Paese degli Aceri non abbia uno straccio di tradizione gastronomica e non conti nulla nell’import/export alimentare. Con un’inevitabile ricaduta (negativa) sulle prospettive turistiche (ed economiche) dei prossimi anni. Inutile negarlo: per il Canada, uno dei Paesi più ricchi e sviluppati del mondo, membro del G8, è stato un autogol imperdonabile; un boomerang micidiale che colpirà la sua reputazione futura nell’immaginario collettivo mondiale. Il Canada ha scelto di non sedersi a tavola con il resto del mondo per parlare di cibo! E, si sa, gli assenti hanno sempre torto.
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