Uomo forte controverso e senza rivali da 21 anni, fermo e autorevole come una roccia nel volatile Corno d’Africa, dove ha imposto la propria autorità ai vicini, alleato chiave dell’Occidente contro l’estremismo islamico nella regione: Meles Zenawi, premier d’Etiopia, è morto di malattia, e ora nel suo Paese rischia di aprirsi un pericolosissimo vuoto di potere. Zenawi, 57 anni, dicono i laconici comunicati ufficiali da Addis Abeba, è stato ucciso la scorsa notte da una misteriosa "infezione", una complicazione improvvisa mentre stava curandosi "all’estero" – a Bruxelles, dice un portavoce dell’Ue – per un altro male che non è stato specificato, che lo ha tenuto lontano dai riflettori almeno da giugno, quando apparve l’ultima volta.
A capo di un Paese stabile e in crescita economica, seppure disomogenea, con un esercito potente e temuto in tutta l’Africa orientale, Zenawi si è costruito con energia un posto fra gli statisti africani rispettati. E’ riuscito nell’impresa di riportare in patria il suo monumento-simbolo, l’obelisco di Axum, ottenendone una decina d’anni fa la restituzione dall’ Italia, che ne aveva fatto una preda di guerra fascista. E ha imposto la sua autorità ai vicini, ora con la mediazione, come nel conflitto Sudan-Sud Sudan, ora con la violenza, come nella sanguinosa quanto inutile guerra con l’Eritrea (1998-2000); ora con l’invio di missioni di pace in tutta l’Africa, ora con un interventismo militare mirato, come nel caso della Somalia, che ha invaso due volte contro gli estremisti islamici che stavano avendo la meglio: nel 2006 contro il movimento delle Corti islamiche e nel 2009 contro i piú radicali Al Shabaab.
Interventi che hanno fatto dimenticare gli orrori dell’Eritrea, calamitandogli il plauso, come campione contro il terrorismo islamico, di Stati Uniti e Occidente e di quanti, Italia compresa, sostengono il fragile governo transitorio somalo. "Ammirazione e tristezza" ha espresso per lui Barack Obama, Francois Hollande ha parlato di "grande perdita". Altri Paesi africani hanno salutato in lui un "promotore della pace e della stabilità", come "l’alleato" premier keniano, Raila Odinga e il presidente di turno dell’Unione africana (Ua), Jean Ping, mentre della sua morte si rallegrano gli Shabaab: "bellissima notizia".
Zenawi prese il potere quando l’Etiopia era in preda al caos come leader della guerriglia del Fronte per la liberazione del popolo Tigrino (Flpt) (Meles era il suo nome di battaglia), imponendo nel 1991 la pace che mise fine insieme alla guerra civile interetnica e alla lunga dittatura di Menghistu Haile Mariam. Divenne presidente del governo transitorio, che fu subito acclamato come esperimento democratico e di convivenza etnica in un Paese poverissimo e devastato da siccità e fame. Conservó la carica fino al 1995, quando fu poi eletto premier per la prima volta (poi nel 2000, 2005, 2010) in un voto in cui non aveva praticamente rivali.
Fra luci e ombre, Zenawi è sotto accusa da parte delle organizzazioni in difesa dei diritti umani come Human Rights Watch (Hrw), Amnesty International (Ai) e Reporter sans frontieres (Rsf). E’ vero – dicono – ha portato pace fra le etnie, favorito la nascita d’una stampa privata, ha patrocinato la nascita d’uno stato multi-partitico. Ma la legge antiterrorismo applaudita all’estero – accusano – è stato lo strumento con cui ha calpestato la libertà d’espressione, chiuso media indipendenti, arrestato giornalisti, messo la museruola all’opposizione e violato in modo crescente i diritti umani.
La data dei funerali non è stata ancora stabilita. Ma ora sull’Etiopia rischia di aprirsi il vuoto. Il vice primo ministro, Hailemariam Desalegn, viene indicato come il suo successore, per ora, e dovrà prestare giuramento in parlamento. Ma la costituzione etiopica a questo proposito è muta: non indica procedure o passaggi; si limita a indicare all’art.75 che il vice "agisce in nome del premier in sua assenza". Desalegn è indicato come uomo umile e defilato, seppure scaltro, e in una striminzita rosa di possibili successori vengono indicati anche un ministro, il leader del partito di Zenawi e la moglie, Azeb Mesfin, nella quale alcuni vedono una figura simile alla presidente argentina Cristina Kirchner, succeduta al marito. Ma una figura come quella di Meles Zenawi di solito lascia attorno a s‚ il vuoto e chiunque diverrà il successore dovrà anzitutto occuparsi ai problemi interni dell’Etiopia prima di dedicarsi a quelli regionali.
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