Il suo nome, le gesta e la sua breve vita sono parte integrante della storia del Novecento. Oggi ricorre l’anniversario della morte anche se, in realtà, fu ucciso il giorno prima e poi – 24 ore dopo – dato l’annuncio ai media di tutto il mondo. Quei fotogrammi che immortalavano il corpo esanime disteso su un freddo tavolo nella lontana Bolivia restano stampati nell’immaginario collettivo.
Ernesto Guevara de la Serna detto “El Che” nasce in una buona famiglia “borghese”, presso la città di Rosario, in Argentina il 14 maggio del 1928. Compaesano di Picasso è stato un rivoluzionario combattente del Sud America; viaggiatore, scrittore, medico e soprattutto sognatore. Amava Pablo Neruda, credeva nella fratellanza tra i popoli e nutriva un particolare interesse nella scrittura – o meglio – nel piacere di narrare passo dopo passo le sue avventure nella parte meridionale del grande continente al di sotto dei confini con gli Stati Uniti.
Dopo l’incontro fortuito e casuale in Messico con Fidel e Raul Castro si unisce alla lotta per la liberazione di Cuba dalla spietata dittatura di Fulgencio Batista. Guevara ricopre diversi incarichi nel governo di L’Havana; la presidenza della banca cubana e a capo del Dicastero dell’Industria.
Ideologo carismatico per la lotta dei contadini sui latifondisti e del proletariato sui poteri forti, intraprende una battaglia sociale e militare nei confronti dell’imperialismo USA. Dopo l’esperienza cubana parte alla volta dell’Europa e poi dell’Africa, prima come diplomatico e portavoce di un socialismo tanto agognato, poi dedicandosi personalmente all’appoggio delle rivolte popolari anti-governative.
In Congo-Belga guida i guerriglieri del movimento di Lumumba verso l’insurrezione e, tra il 1966 e il 1967, partecipa attivamente a quella comunista Boliviana. E’ proprio nella terra dei “narcos” che Che Guevara scrive le sue bellissime memorie riportate sul famoso “Diario”, ed è proprio lì, nel campo di battaglia, che conclude la sua fugace esistenza.
Ormai sconfitti dall’esercito di Barrientos e ridotti allo stremo, gli uomini del “Che” si ritrovano di fatto accerchiati e la caccia al comandante, da parte della CIA e dei reparti miliziani di Bogotà, diventa sempre più incessante. E’ il nemico pubblico numero uno per Washington e per l’establishment occidentale. Viene ben presto catturato e ferito nelle vicinanze del villaggio di La Higuera durante un agguato e, per mano delle forze nazionali in accordo con l’intelligence di Langley, brutalmente giustiziato il giorno seguente.
Il carisma di questo straordinario personaggio ha – oltremisura – condizionato generazioni di giovani raggiungendo un livello di notorietà e fama forse unico nel suo genere. La prematura scomparsa, mentre si batteva a fianco dei rivoluzionari, lo ha resto praticamente immortale, mitizzandolo a tal punto da essere considerato – tutt’ora e da molti – una vera leggenda.
E’ stato in assoluto l’emblema, l’archetipo del leader guida per le ribellioni ai soprusi contro i golpe militari sotto guida capitalista nonché icona per tutti quei giovani che hanno tratto speranze ma anche insegnamenti tramite il suo “martirio”. Un combattente che ha fatto della lotta armata (inevitabile) per la libertà dei popoli, la sua principale ragion di vita.
Nessun punto di vista politico in questo ricordo nostalgico, ma un semplice plauso umano a coloro che credevano in qualcosa di bello, di sano e leale per la povera gente. In primis proprio lui; il “delfino” di Fidel, l’argentino puro, l’idealista armato; quel protagonista che amava sostenere con fermezza che “dobbiamo essere sempre capaci di sentire nel più profondo qualunque ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo”. Una visione utopica purtroppo, tutt’oggi rimasta sospesa, interrotta e messa a tacere in quelle fitte boscaglie di Santa Cruz, in Bolivia, il 9 ottobre 1967.
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