Gli USA in primis, e l’Europa a seguire, hanno fatto a gara per chi urlava più forte che le elezioni in Bielorussia erano state falsate e che il popolo non voleva più Lukashenko come presidente. Con voce più flebile (per evidenti motivi di geopolitica) l’OSCE e gli osservatori della International Society for Fair Elections and Democracy (ISFED) hanno giudicato come non totalmente “fair” anche le elezioni parlamentari nella Georgia caucasica, tenutesi il 31 ottobre.
Nessuno lo farà invece in merito alle elezioni dei Grandi Elettori deputati a scegliere il futuro presidente degli Stati Uniti. Lì non c’erano osservatori internazionali, ma il sospetto che quel voto sia stato oggetto di frode e di irregolarità diventa ogni giorno più forte. La Corte suprema americana ha rigettato per una questione formale e senza entrare nel merito la richiesta del Texas e di altri Stati americani di bloccare la nomina dei delegati, che poi il 14 dicembre dovevano convalidare l’elezione di Biden. Similmente e sempre per motivi formali nessun tribunale statale ha convalidato la richiesta degli avvocati di Donald Trump di invalidare le elezioni in alcuni Stati dopo che vari testimoni avevano sostenuto di aver assistito a brogli sistematici. Eppure la questione non può ancora dirsi chiusa e nessuno può affermare con assoluta certezza che il prossimo presidente degli Stati Uniti sarà Joseph Biden. Mentre Trump continua a non voler riconoscere la sconfitta, aumentano i fatti e le testimonianze che portano a pensare che la volontà espressa dal popolo americano sia stata scientemente alterata attraverso un complotto organizzato da tempo. Stupisce come la stampa principale, sia negli USA che in Europa, non ne faccia menzione e come dia per scontata l’elezione di Biden. Come mai nessuno di loro si chiede perché e come sia stato possibile che i Repubblicani abbiano guadagnato nuovi deputati la Congresso e non ne abbiano perso nessuno al Senato mentre gli stessi elettori avrebbero bocciato il candidato presidente ufficiale di quel partito? In tutta la storia degli Stati Uniti d’America non era mai successo che un presidente uscente che avesse aumentato i propri voti popolari rispetto alla prima elezione non fosse stato riconfermato (Trump nel 2020 ha ottenuto 11 milioni di voti in più del 2016).
Sono molte le testimonianze giurate di persone che denunciano voti “espressi” da elettori defunti (qualcuno anche nato nell’’800), di stranieri senza diritto di voto che comunque l’hanno espresso, di cittadini di altri Stati USA che hanno votato anche dove non avrebbero potuto farlo, di minori e di carcerati. Nel solo Nevada alla locale magistratura sono arrivati ben ottanta dossier contenenti denunce di voti irregolari. In Pennsylvania sono state stampate e spedite schede elettorali per un numero doppio rispetto a quello degli elettori registrati e nessuno sa dire che uso ne sia stato fatto, chi le abbia utilizzate e a favore di chi. Un giornalista californiano ha dichiarato di aver potuto votare ben otto volte e si ha certezza che molte delle schede arrivate per posta in alcuni Stati siano state conteggiate nei giorni successivi alla data limite del 4 novembre, senza verifica delle firme sui certificati elettorali. La Corte Ssprema del Winsconsin, su richiesta degli avvocati di Trump, ha indagato e perfino sentenziato che le schede arrivate per via postale non sono state conteggiate secondo le procedure previste dalle leggi locali e che quindi avrebbero dovuto essere considerate nulle. Ciononostante ha deciso che la sentenza avrebbe avuto valore solo per le elezioni future e che ora era troppo tardi per intervenire su quelle già scrutinate.
Come non bastasse, sono emersi altri fatti di estrema gravità.
Uno riguarda il software e i computer usati per effettuare lo spoglio delle schede postali. In 28 su 50 Stati le macchine appartengono della Dominion Voting Systems e usano il software Smartmatic. Entrambi erano già stati utilizzati per le elezioni in Venezuela e il proprietario della società risulta essere un venezuelano. Solo in Michigan, su richiesta dell’avvocato trumpiano DePeron, il giudice locale Kevin Elsenhiemer ha autorizzato nella Contea di Antrim una perizia forense su questi strumenti e sul metodo usato. Risultato: nelle 23 pagine della perizia gli esperti scrivono: “Dominion Voting Systems è progettato intenzionalmente per creare errori intrinseci, allo scopo di poter creare una frode elettorale in maniera sistematica e influenzare i risultati”. Continuano: “Il sistema genera di proposito una quantità enorme di errori nella lettura delle schede quando trasferite nel sistema elettronico affinché si decida manualmente cosa farne. Questi errori intenzionali portano all’assegnazione di voti senza alcuna supervisione, senza trasparenza e senza lasciare tracce”. Occorre ricordare che la Commissione elettorale federale ammette una percentuale di errore dello 0,0008 percento (uno su 250.000) mentre Il tasso di errore riscontrato dagli esperti del tribunale su Dominion è del 65 percento. Le macchine Dominion sono state utilizzate in tutti gli Stati in cui Trump dichiara di essere stato vittima di brogli.
Un altro fatto scioccante riguarda Mark Zuckerberg, il creatore di Facebook. Che simpatizzasse per Biden è risaputo e Facebook si è perfino permessa di censurare dichiarazioni del presidente Trump. Ciò che sta emergendo è che attraverso una sua società benefica ha finanziato con 500 milioni di dollari un’altra società sedicente filantropica, la Center Tech and Civic Life. Quest’ultima ha ottenuto da tutti gli Stati considerati determinanti per il risultato finale del voto (i cosiddetti Swing States) di poter organizzare direttamente la raccolta e lo spoglio dei voti. In altre parole, la verifica della volontà popolare è stata “privatizzata”. Le attrezzature usate a tale scopo sono di proprietà privata e nessun pubblico funzionario senza l’intervento di un magistrato ha potuto accedervi e verificarne il funzionamento. La stessa società ha gestito la distribuzione delle cassette postali ove gli elettori consegnavano le schede, il loro ritiro e lo spoglio dei voti. Probabilmente non a caso la distribuzione delle cassette non è stata omogenea su tutti i territori di competenza: un ricevitore su 4mila nelle Contee considerate a maggioranza democratica e uno su 72mila in quelle ritenute a maggioranza repubblicana. Con la scusa dell’epidemia in corso, negli stessi Stati in cui ha operato ha ottenuto la riduzione del numero dei seggi elettorali ove chi lo avesse voluto avrebbe potuto recarsi a votare di persona. Ciò per favorire la scelta di far votare via posta. Per valutare correttamente la dimensione della “donazione” di Zuckerberg basta sapere che la cifra stanziata a livello federale per le elezioni in tutti gli Stati Uniti (e non solo per gli Swing States) è di 400 milioni di dollari.
Procedure discutibili come queste non stupirebbero se avvenissero in Paesi che siamo abituati a considerare non democratici, ma il fatto che avvengano in quella che credevamo essere la “migliore democrazia del mondo” è sconvolgente. Anche il sistema giudiziario americano non ne esce bene: nonostante numerose siano le evidenze che qualcosa non ha funzionato come avrebbe dovuto, i magistrati si sono mostrati reticenti ad intervenire. Anche dove è stato permesso il riconteggio dei voti, questo è avvenuto senza tutte le dovute verifiche riguardanti l’identità dei votanti e il metodo informatico utilizzato per lo spoglio. La stampa occidentale ne esce ancora peggio. Da mesi ha continuato a parlare di una vittoria di Biden che sarebbe stata plebiscitaria. Smentita dalla valanga di voti arrivati a Trump e dal numero di Stati conquistati, ha continuato ad attribuire la vittoria al candidato preferito ancora prima dell’annuncio ufficiale e continua a criminalizzare le accuse di brogli. Fa pena che tra questi pseudo-giornalisti ci siano anche i vari corrispondenti delle nostre TV e dei maggiori quotidiani. Lo confesso, Trump non è simpatico neppure a me ma il dovere di un giornalista intellettualmente onesto è di riferire i fatti come sono e di non mentire al proprio pubblico.
Una gran parte degli americani ha cominciato a capire di essere vittima di una congiura organizzata fin nei particolari. Gallup, la grande società americana di sondaggi, ha condotto una ricerca dalla quale esce che più del 50 percento degli americani è convinto di essere di fronte a una frode elettorale e che tra chi lo pensa c’è ben il 30 percento di elettori democratici. Un’altra società di ricerche, la McLaughlin, lo conferma identificando nel 51 percento degli di coloro che pensano che queste elezioni non siano state svolte in modo corretto.
Cosa succederà ora? Il voto del Parlamento che eleggerà formalmente il presidente non avverrà prima del 6 gennaio e l’assunzione della carica avverrà soltanto il 20 di quel mese. Dal punto di vista delle corrette procedure previste dalle leggi niente sarà definitivo sino alla data di quella votazione e l’incognita resta legata alla presa d’atto dei Parlamentari di quella che è la volontà dei Grandi elettori. Quale essa sia, nonostante tutti si siano precipitati ad attribuirne la maggioranza a favore di Biden non è ancora noto. Infatti la loro designazione spetta agli Stati e in quattro di essi i governatori ne hanno nominati alcuni mentre il locale Senato ne ha nominati altri. Si tratta in totale di 84 persone in più del dovuto e toccherà alle Camere decidere chi tra loro saranno i legittimati. Se tutti e 84 fossero scartati, nessuno dei due potenziali presidenti avrebbe il numero sufficiente per essere eletto e toccherà alle stesse Camere votarlo. In questo caso i voti però non saranno “per testa”, bensì “per Stato” e la maggioranza di essi è in mano ai Repubblicani.
È difficile (ma non impossibile) immaginare che lo sdegno popolare e l’ammonticchiarsi delle prove di brogli convincano giudici, parlamentari e la grande stampa a cambiare il loro attuale orientamento, così come qualunque decisione dovesse prevalere è probabile che essa farà aumentare le tensioni interne alla società americana.
Ciò che si deve aggiungere è che, nel caso a prevalere sia Biden, non c’è certezza che riesca a restare presidente per i quattro anni previsti. A suo carico, e soprattutto a carico del figlio (sotto inchiesta per riciclaggio di denaro in Cina), stanno emergendo scandali economici e finanziari che vedono il coinvolgimento di società cinesi e che sono attualmente oggetto di indagini giudiziarie. Sembrerebbe trattarsi di fatti già conosciuti in precedenza da molti anche tra i vertici del Partito Democratico e qualche dietrologo sostiene che avessero già previsto che, pochi mesi dopo aver assunto la carica, lui sarebbe stato costretto a dimettersi lasciando il posto alla Harris. Chi lo pensa, crede anche che lei sia sempre stata la vera candidata di Obama e di Wall Street ma che, poiché spingerla in prima persona sarebbe stata una scelta perdente, si era pensato di ripiegare su un personaggio senza carisma ma più rassicurante per l’elettore democratico medio.
*Già deputato della Repubblica Italiana, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali