Non è una novità. Ogni volta che si parla di consultazione elettorale salta fuori qualcuno che scopre che votano anche i cittadini italiani residenti fuori d’Italia e non riuscendo a farsi una ragione del perché di questa presunta “anomalia”, allora si scaglia contro il voto dei connazionali o propone una riforma. Immaginiamo lo facciano subito dopo aver consultato il web cliccando “voto degli italiani all’estero”, e allora – apriti cielo! Leggono i dotti trattati sulla questione su Wikipedia, Fatto Quotidiano, Corsera e via dicendo, sui presunti brogli elettorali commessi da “gente che non paga le tasse in Italia”, “per decidere sulla vita di chi vive in Italia” e roba del genere. Si tratta di articoli e informazioni che si trovano nella rete già da anni e che ogni volta vengono spolverati per mettere in discussione un diritto sancito dalla Costituzione della Repubblica, ben prima della riforma dell’articolo 48 approvata nell’anno 2000, a conclusione della grande battaglia nella quale Mirko Tremaglia coinvolse tutto l’arco politico italiano.
L’ultima volta è stata in occasione del referendum costituzionale di novembre, quando in tanti paventavano il “pericolo che il voto all’estero” fosse determinante per l’esito del risultato. Ora, in vista di eventuali elezioni anticipate, un’altra volta siamo sul tema.
Come dicevamo, il diritto al voto, era riconosciuto dalla Costituzione fin dal primo giorno anche ai cittadini italiani residenti all’estero. Non poteva essere diversamente perché si tratta di un diritto intrinseco alla condizione di cittadino. Infatti, anche prima della riforma del 2000 si poteva votare, ma per farlo bisognava recarsi in Italia (erano previsti sconti sui mezzi di trasporto dello Stato, per consentire ai cittadini residenti all’estero di raggiungere i seggi nelle proprie città e paesi), ma pochi avevano la possibilità e il tempo, specialmente tra i residenti oltreoceano. Naturalmente eleggevano tra i candidati che proponevano le liste presenti nel collegio elettorale dove l’interessato si recava a votare.
Quel che fece nell’anno 2000 la riforma dell’articolo 48 fu creare la Circoscrizione estero, cioè, costituire un collegio che rappresentasse tutti i residenti fuori d’Italia. Completata con la riforma degli articoli 56 e 57 che assegnava a questa nuova circoscrizione dodici deputati e sei senatori, fu un punto di arrivo determinante per ottenere il consenso di tutte le forze politiche, perché fino ad allora, in genere partiti e politici si opponevano al nostro voto – tra l’altro – perché non volevano perdere il controllo dei “propri” collegi elettorali.
Poi lo strumento indispensabile per rendere efficace all’estero l’esercizio del diritto di voto, fu la legge 459 del 2001, la legge Tremaglia, che stabilì il voto per corrispondenza. Bisogna ricordare che questo sistema fu adoperato per due ragioni principali. La prima era che si rendeva politicamente difficile far svolgere una elezione in tanti paesi – circa una trentina – nei quali risiede una certa quantità di cittadini italiani, per una questione di extraterritorialità politica. E infatti, prima di far votare i propri cittadini, l’Italia ha dovuto ottenere l’assenso dei vari paesi, perché autorizzassero questa attività politica nei loro territori.
Non ci sono stati problemi in Europa, dove da tempo c’era un progetto politico istituzionale comune, qual è la Comunità europea e dove ad ogni modo c’era già all’epoca una intensa attività politica che potremmo chiamare transfrontaliera. Non è stato molto difficile in paesi amici, come l’Argentina. Più complicato invece è stato ottenere il consenso in Canada e in Australia dove i governi, impegnati in politiche di integrazione degli immigrati, non hanno visto di buon occhio l’iniziativa, al punto che almeno nelle prime tornate elettorali l’autorizzazione veniva data di volta in volta.
Ma in definitiva, per la stragrande maggioranza dei paesi e dei cittadini italiani residenti in essi (quasi cinque milioni) l’accordo è stato trovato.
L’altra questione, in un certo senso legata alla prima, è la difficoltà pratica di aprire seggi dappertutto o di far votare i cittadini residenti all’estero presso le sedi diplomatiche e consolari. Solo chi non conosce il mondo o è in malafede, può proporre una soluzione di questo tipo. Quanti chilometri dovrebbe percorrere un cittadino per poter votare? Per citare l’esempio più eclatante in Argentina, quello di Bahía Blanca, la sede consolare più a sud del mondo. La sua circoscrizione comprende anche la Terra del Fuoco: Usuhaia è lontana ben 2.443 chilometri dalla sede consolare. Río Gallegos, 1.871 km. Gli italiani residenti nella “più vicina” Bariloche, dovrebbero percorrere 962 km. Nel nordovest, compreso nella circoscrizione consolare di Cordoba, la sede consolare è lontana 917 km da Jujuy, 891 km da Salta, 484 da La Rioja, 461 da Catamarca.
Nella circoscrizione del consolato generale d’Italia a Rosario, Posadas è lontana 908 km.; Formosa 881 km.; Resistencia 715 km e così via.
Lo stesso vale per le altre sei sedi consolari, comprese quelle di Buenos Aires, Lomas de Zamora e Morón, dove risiedono quasi quattrocentomila italiani. Nel paese, purtroppo, non ci sono treni di alta velocità, anzi ci sono pochi treni e il loro servizio è scadente. Anche i servizio pullman è in crisi e la struttura stradale è in buona parte da rifare.
In Argentina – solo per parlare di uno dei paesi più estesi, dove risiedono oltre 700 mila italiani in condizioni di votare, tutte queste persone dovrebbero spostarsi verso le sedi consolari? E chi starebbe alla porta di quelle sedi ad attenderli e a ordinare le file? Forse il senatore Mauro che ha avuto la brillante idea (ultimo in ordine di tempo, perché l’idea non è originale)?
Pensiamo al Brasile, al Venezuela, al Cile, ma anche agli Stati Uniti, al Canada, all’Australia o perfino all’Uruguay che, pur se territorialmente non molto esteso, ha una delle comunità più numerose al mondo e dove manca una sede consolare, chiusa qualche anno fa, nella foga dei governi italiani per “risparmiare”. Vero è che l’on. Mauro e qualcun altro, propongono anche il voto elettronico, ma la procedura per l’iscrizione, per ottenere la necessaria password, comporta gli spostamenti di cui parlavamo sopra. E non è detto che il sistema non sia messo in discussione, come avviene anche col sistema di voto per corrispondenza. Un sistema che certamente potrebbe essere migliorato, cominciando dal fatto di prevedere comitati elettorali in ogni sede consolare, dei quali farebbero parte i responsabili nominati da ogni lista, oltre naturalmente ai Consoli. Un dibattito che, comunque, è legato alla cittadinanza, alla rappresentanza delle comunità all’estero e alla struttura consolare. E fondamentalmente alla risposta sul rapporto tra l’Italia e i suoi cittadini residenti oltreconfine.
Purtroppo la politica italiana continua a guardarsi l’ombelico e quando qualcuno cerca di alzare lo sguardo per vedere cosa succede altrove, viene combattuto dalla grande coalizione a difesa dello status quo, che va da destra a sinistra, dal vecchio al nuovo, dalla maggioranza all’opposizione. Una trasversalità degna di una causa migliore. Ad ogni modo sembra che la possibilità del voto anticipato si sia allontanata. Per cui il dibattito sul voto degli italiani all’estero probabilmente sarà rimesso nel cassetto, in attesa delle elezioni.
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