Dopo la gioia ed i fuochi d’artificio, alla violenza ed il sangue. Era questo il passaggio che molti temevano per l’Egitto e che, purtroppo, è drammaticamente arrivato.
Anche se la comunità internazionale spera ancora di scongiurarne l’inasprimento.
Non meno di trenta morti in tre notti e due giorni di caos sono già un pesante bilancio, mentre il dubbio che assilla le cancellerie di tutto il mondo è se i militari, dopo aver dato ascolto al popolo egiziano anti-Morsi, potranno, ora, rimanere sordi di fronte al popolo egiziano – non meno numeroso – pro-Morsi.
Intanto i militari, che evidentemente conducono questa transizione anche in presenza di un presidente ad interim, sembra che vogliano proseguire per la loro strada, arrestano il numero due dei fratelli musulmani Khairat El-Shater ( incitazione alla violenza) e si pongono come energici arbitri nella contesa tra le due fazioni. E quella che nacque con il nome di Società delle Nazioni, l’ONU, lancia appelli a coloro che in questi momenti hanno in mano le sorti dell’Egitto perché evitino vendette ed emarginazioni di partiti politici e comunità e facciano ogni sforzo per superare questa fase di aperta contrapposizione e portare il Paese con una rapida transizione verso il ritorno alla democrazia.
Il segretario generale Ban Ki Moon chiede soprattutto di garantire la sicurezza dei cittadini, di proteggere i manifestanti e impedire scontri violenti. E il carattere minimalistico delle richieste della massima figura istituzionale a carattere internazionale, Ban Ki Moon appunto, ai dirigenti egiziani, dà il senso di quanto sia grave e complessa la situazione e la misura del potenziale rischio di guerra civile.
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