Francesca La Marca, deputata Pd eletta nel Nord e Centro America e residente in Canada, corre in aiuto del Corriere Canadese, che ha sospeso le pubblicazioni “a causa della costante erosione del contributo ricevuto dal Dipartimento per l’editoria e delle rigidità di applicazione della normativa esistente”, spiega la stessa deputata in una nota, nella quale auspica “una maggiore flessibilità, pur senza prescindere dai necessari controlli”, per quanto riguarda l’accesso ai contributi editoriali dello Stato.
Al di là del gesto di La Marca – apprezzabile, per carità, anche perché la testata giornalistica in questione è edita in Canada, proprio nel Paese in cui La Marca risiede e ha preso un bel po’ di voti -, a me personalmente viene da ridere. E allo stesso tempo, mi sale il sangue alla testa. Dico io: possibile che ancora oggi, nel 2013, nell’era delle nuove tecnologie, siamo pronti a consentire questo assistenzialismo di Stato, anche per quanto riguarda giornali che, senza contributi statali, sarebbero già belli che morti? Se il Corriere Canadese non ce la fa più a stampare, continui a lavorare online. Si eviterà quanto meno il costo della tipografia e della carta. Informi i propri lettori attraverso il web. Non sarebbe né il primo né l’unico a farlo. Come certamente non è l’unica testata in difficoltà, ce ne sono a decine in tutto il mondo, e non solo italiane. Questa storia dei giornali italiani – all’estero, e non – mantenuti solo a spese dei contribuenti deve finire.
Se il Corriere Canadese è stato costretto a sospendere le pubblicazioni dopo “la costante erosione” del contributo pubblico, forse non era un giornale capace di attrarre l’interesse dei lettori. Forse non era un prodotto editoriale degno di tale nome, visto che un giornale non può “campare” solo grazie ai soldi pubblici. Esiste il prezzo di copertina, esistono gli abbonamenti, la pubblicità. Se tutto questo non ha dato la forza al Corriere Canadese di continuare ad esistere anche sulla carta – è proprio il caso di dirlo -, vuol dire che il giornale non piaceva, punto. E tenerlo in vita solo grazie alla mano dello Stato, sarebbe un peccato, oltre che uno spreco. Oltre che, mi permetto di dirlo, uno schiaffo morale a chi fa informazione tutti i giorni, con spirito di sacrificio e dedizione, senza un centesimo di contributo pubblico e senza che nessun parlamentare sia mai intervenuto in suo favore.
Sarebbe ora di smetterla con l’elemosina di Stato – che tanto piace a certa sinistra – e iniziare a misurarci tutti con il mercato e con le capacità di ciascun editore di saper proporre al pubblico un prodotto che piaccia. E’ facile fare il giornale con i soldi degli altri; ancor più facile farlo con i soldi dello Stato. In questo modo, son davvero bravi tutti; così, chiunque potrebbe facilmente dirsi un editore di successo. Se i buchi li tappa sempre Pantalone, se qualsiasi cosa si scriva sulle pagine della propria testata i soldi arrivano sempre da mamma Italia, allora dov’è il rischio? Dov’è la voglia di fare meglio, visto che in ogni caso i soldi del contributo – bello o brutto che sia il prodotto – arrivano lo stesso? La politica ha paura di dire certe cose, perché teme di perdere il consenso di certa stampa. Sbaglia: temi come questo vanno affrontati. Il politico deve saper mostrare anche coraggio, quando la situazione, il buon senso e l’interesse generale lo richiedono.
Twitter @rickyfilosa
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