Enzo Iacopino è la massima autorità, in Italia, quando si parla di giornalismo. Presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti, è membro del Consiglio nazionale dal 2001. È giornalista dal 1971. Nel 1994 è stato eletto presidente dell’Associazione Stampa Parlamentare e successivamente confermato per quattro mandati consecutivi. Dal 1981 è stato vice capo redattore de Il Gazzettino presso la redazione romana; inviato speciale de Il Giorno (1989) e capo della redazione romana de Il Mattino (1994).
Con Iacopino, nella lunga intervista che vi proponiamo qui di seguito, ItaliaChiamaItalia ha affrontato diversi temi, fra cui quello dell’informazione online, dei contributi editoriali, del fenomeno della "querela facile", ma anche temi più strettamente legati alla politica italiana.
Presidente Enzo Iacopino, il terzo millennio è anche l’era del digitale: la notizia corre sempre più sul web e i giornali in edicola si vendono a fatica. La crisi dell’editoria investe persino il mondo dei fumetti. La carta stampata è destinata a scomparire?
“No, non credo sarà così. Ma debbo confessare un personale conflitto di interessi: tutta la mia carriera si è svolta essenzialmente nella carta stampata, fin da quando c’erano le vecchie rotative e le linotype. La sensazione di stringere il giornale tra le mani è, per me, ancora molto piacevole. Tanto più che i moderni inchiostri non macchiano come quelli del passato”.
Contributi editoriali, favorevole o contrario?
“Contrario, senza esitazioni, ai contributi a pioggia, all’invenzione delle moltiplicazioni degli ‘organi ufficiali’ per lucrare soldi pubblici. Favorevole ad una gestione oculata delle risorse: lo Stato ha il dovere di garantire ai cittadini una informazione plurale. Si può riflettere su qualche particolare. Ad esempio, ma gradirei non essere demonizzato, se i contributi ad una testata possano essere divisi in due fasi: una in quella di avvio, quando c’è la necessità di riscontrare il consenso dei cittadini-lettori-radio o telespettatori. E l’altra dopo un certo periodo minimo”.
Perché l’Italia non sostiene in maniera concreta anche chi fa informazione su internet? Del resto, i giornalisti digitali svolgono lo stesso lavoro dei colleghi che scrivono su carta. L’unica differenza è il fatto di stampare il prodotto editoriale…
“Che su internet si faccia informazione è ardito negarlo. Dovremmo trovare regole che garantiscano, ad esempio, che i motori di ricerca rimandino allo sviluppo della vicenda che non di rado smentisce o rettifica significativamente la prima notizia. Questo richiede verosimilmente maggiori risorse. Perché non c’è attenzione? Perché si ha un’idea sbagliata del valore dell’informazione”.
Ricordo una mia conversazione telefonica, di 3 o 4 anni fa, con il direttore di uno dei più importanti quotidiani online in Italia. Ero in cerca di collaborazioni giornalistiche, e lui mi disse: “E’ come se tu volessi entrare in un cinema mentre tutti gli altri stanno uscendo”. Quelle parole mi diedero una spinta ancora maggiore ad andare avanti: ma le cose stanno davvero così? E’ così difficile affermarsi in questo mondo?
“Le cose forse stanno anche peggio. Le ‘sale cinematografiche’ sono quasi vuote. E si assiste passivamente, per restare nella metafora, alla duplicazione selvaggia delle pellicole originali. Non c’è informazione di qualità, quella alla quale hanno diritto i cittadini”, ma oggi l’informazione viene “pagata due o tre euro ad articolo o anche 50 centesimi nel web”.
Lei consiglierebbe a un giovane, oggi, di iniziare una carriera nell’ambito del giornalismo?
“So che non ci sono parole che possano indurre un giovane a cambiare idea. Ma so anche che abbiamo il dovere di spiegare qual è la situazione oggi. Un mondo di predatori disinvolti che mirano a lucrare sui sogni di tanti, consapevoli per di più che ogni loro azione ha alte possibilità di rimanere impunita. So di non essere incoraggiante, ma salvo rare eccezioni, con l’alibi della crisi, il mondo dell’Editoria è questo. La crisi c’è, sia chiaro, ma gli editori non contabilizzano mai nei bilanci delle testate che controllano, gli utili che lucrano con le loro altre attività, utili che vengono moltiplicati dal loro essere editori”.
Quanti sono i giornalisti italiani oggi senza lavoro?
“Quelli senza un lavoro che dia loro anche soddisfazioni economiche? Almeno l’80 per cento. È una cifra per difetto”.
E’ utile inviare curriculum alle redazioni, per cercare lavoro, o senza la solita “raccomandazione” non si arriva da nessuna parte?
“Nelle nostre letture giovanili ci sono mille storie con bottiglie affidate da un naufrago alle correnti, con dentro una richiesta di aiuto. Il curriculum è una bottiglia. Capita che qualcuno la raccolga. Raramente. Un po’ più spesso si incontra un interlocutore civile che ti richiama per scambiare una parola, senza accendere speranze. Ma si tratta sempre di pochi casi. Quasi sempre c’è un offensivo silenzio”.
Parliamo di diffamazione e querele: la querela è uno strumento spesso abusato, dai politici soprattutto. Talvolta è un modo per intimidire il giornalista, che anche in caso di vittoria in tribunale si troverebbe comunque ad avere speso soldi e tempo. E si sa, la stragrande maggioranza dei giornalisti ha le tasche vuote e svolge il proprio mestiere più per passione che altro. In Parlamento si parla del tema ma non si arriva a nessuna decisione. Niente impunità, siamo d’accordo: ma secondo lei, presidente, come evitare che la querela possa rendere complicato, oserei dire in certi casi pericoloso, il lavoro di chi fa informazione?
“Ci sono in Parlamento iniziative significative proprio in queste settimane. Da tempo sostengo che le querele per diffamazione sono una pistola alla nuca dei giornalisti, soprattutto per la stragrande maggioranza di loro. Occorrerebbe prevedere, tra l’altro, che chi presenta una querela con richieste di risarcimento a molti zeri, se si vede dar torto paghi la somma richiesta ad un fondo legale per la difesa dei giornalisti non contrattualizzati. Non è morale tenere per anni un giornalista con quella minaccia e poi a cavarsela con gli spiccioli di una parcella”.
L’ANSO, l’associazione nazionale della stampa online, denuncia: in Parlamento si vuole affossare l’editoria online. I siti web regolarmente registrati come testate giornalistiche, rischiano di pagare pene più alte rispetto a blog o social network. Qual è la sua opinione in merito?
“Penso che l’Odg abbia dato un contributo alla limitazione dei… cattivi propositi di alcuni parlamentari. Ma così come ho detto, nel corso dell’audizione davanti alla commissione Giustizia, che i giornalisti non vogliono impunità e che se sbagliano debbono essere chiamati a risponderne, affermo qui che questo vale per tutte le forme di comunicazione. Dobbiamo renderci conto che il nostro dovere non è solo la verità, ma anche il rispetto per le persone, che hanno il diritto alla tutela del loro onore e della loro reputazione. Occorre, però, trovare le risposte giuste (non solo il no alla detenzione), coniugando i due diritti dei cittadini: quello di essere rispettati e quello di avere una informazione libera”.
Grillo e i giornalisti: insulti e battutine nei confronti dei cronisti da parte del comico genovese non si contano più. Come giudica le parole che il leader M5S dedica spesso alla stampa?
“Grillo a volte esagera e mostra di parlare di cose che non conosce come dovrebbe. Ha un’idea della libertà di stampa che non condivido. Ma, confesso e ribadisco, che anche molti giornalisti hanno un’idea della libertà di stampa diversa dalla mia. L’avere sbattuto in prima pagina la figlia di Grillo per una vicenda personale, l’aver ipotizzato che la tragedia della follia consumatasi davanti a palazzo Chigi fosse conseguenza delle parole di Grillo, l’aver riportato di tutto e di più con controlli precari, beh è cosa che mi sconcerta. E mi limito per non fare polemiche”.
In conclusione, vorrei chiederle un commento sulla sentenza di condanna nei confronti di Berlusconi. Secondo lei cosa succederà adesso?
“Non so che cosa accadrà. Non mi tranquillizzano le parole rassicuranti per il governo. Ne ho ascoltate mille volte, poco prima di crisi laceranti. Ma ci sono cose che mi inquietano. I tempi, ad esempio. Tappe forzate per evitare, e lo trovo giusto, il rischio della prescrizione. Ma trovo curioso – e il Giornale, oggi 6 agosto, rivela una vicenda che merita un approfondimento – che su altri tutto si consumi con tempi sudamericani. La Giustizia non solo deve essere imparziale, ma ha anche il dovere di apparire tale. Poco importa il titolo del reato (penale o amministrativo): l’allarme sociale resta. E le risposte, a volte, accumulano ritardi incomprensibili ai più”.
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