L’anno orribile dell’editoria in Italia. Notte fonda, numeri neri, il buio totale. Lacrime e sangue su tutta la linea: al precipizio rappresentato dai dati negativi non scampa nessuno. Quotidiani, settimanali, periodici, pubblicazioni tecniche, i giornali economici (- 14,8%) e quelli indirizzati ai giovani (-29,9%) e ai bambini. La vendita delle pubblicazioni di sport e spettacoli è in calo del 14,9%. Neanche l’informatica scampa alla moria di copie: -12,9%.
I mensili accusano una contrazione della diffusione del 6%. Gli abbonamenti sono calati dell’8,9%. Codificato da uno studio Fieg La Stampa, il disastro assume proporzioni ora preoccupanti. In realtà, non si tratta di una novità: l’editoria è in crisi per il quinto anno consecutivo. Ma sono le proporzioni, i numeri del calo generalizzato a spargere nuove e più acute preoccupazioni. Anche perché diminuiscono anche i lettori: gli italiani che hanno smesso di comprare il quotidiano al mattino sono diventati una marea. Un popolo di un milione di copie perse in cinque anni. Il numero di copie vendute è calato progressivamente negli ultimi anni: 6,6% in meno ad ingrossare il dato relativo alla progressione negativa, valutata dallo studio Fieg La Stampa, nell’ordine del 22%. Quel milione di persone che hanno smesso di leggere il giornale. La vendita dei quotidiani in Italia segnala una continua flessione dal 2008: -6,6% in meno, che fa 4 milioni 272 mila di copie vendute in meno. Un brutto irreparabile scivolone, oltre 20 punti in percentuale. Al Nord la media rilevata è di 86 copie vendute ogni 1.000 abitanti. Meglio di tutti il Friuli Venezia Giulia, 121 copie ogni 1.000 abitanti, seguito da Liguria (120 su 1.000), Trentino Alto Adige (114) e Sardegna (110 copie su 1.000 abitanti). La Campania fanalino di coda con un triste 33 copie vendute su 1.000 abitanti.
Ma i giornalisti occupati? Decrescono anche loro, investiti da una crisi devastante. Nel 2012 le unità erano 1.034, calate a 935 nel 2012. Meno 9,6%, non un bel vedere, è soprattutto un pessimo sentire. I poligrafici, poi. Loro la crisi se la vedono sbattuta crudelmente in faccia ormai da anni. Meno 6,7% nel 2012 e un ulteriore -2,2 quest’anno. Affiora quindi minaccioso un punto di domanda: si può parlare di futuro per i giornali?
Rispondono i numeri, e la risposta non apre i nostri cuori alla speranza. In questo momento, il carico pubblicitario a beneficio dei giornali è il peggiore degli ultimi venti anni. Un investimento complessivo di 7 miliardi 422 milioni di euro. Una bella cifra? Bella un corno: il 14% in meno rispetto al 2011. Una botta in testa, tout court. Ma c’è una ragione: l’assetto del mercato pubblicitario è fortemente sbilanciato a favore delle televisioni.
Lo studio Fieg La Sampa denuncia flessioni di copie anche per settimanali e mensili. Rispettivamente il 6,4% in meno e l’8,9%. L’editoria è in palese, chiara, forte sofferenza: quali i motivi, le ragioni individuabili in concreto? Incidono la congiuntura economica, l’evoluzione tecnologica, i fattori di criticità strutturale, schizzati oggi oltre i limiti storici. E non finisce qui: nel conto vanno inserite le carenze e le insufficienze del sistema distributivo, causa di alti livelli di resa, e la limitata praticabilità di alternative alla vendita in edicola per l’inefficienza del servizio postale e/o altri canali distributivi.
Mettiamoci, inoltre, la scarsa propensione all’acquisto dei giornali da parte del pubblico. Che qualche giustificazione della disaffezione ce l’avrebbe pure: la mancata stimolazione da interventi a sostegno della domanda per incentivarne il consumo. Ne conseguono, in ragione delle motivazioni sopra rappresentate, ricavi per le imprese editoriali non in linea con le necessità e le prospettive. I ricavi sono in calo del 3%. Scende di conseguenza il fatturato, da meno 5 al -5,2%.
La rigorosa indagine ha considerato 52 imprese editoriali. Bene, anzi malissimo, 37 erano in perdita nel 2011; quelle in utile 15. La situazione è peggiorata rispetto al 2010, avevate dubbi o qualcosa in contrario? I numeri sono impietosi e, in quanto tali, non si discutono perché non opinabili, almeno loro. La somma algebrica utili e perdite era positiva nel 2011: 92,8 milioni di euro. Però meglio nel 2010: 93,8 milioni. Sotto la pioggia di numeri neri, le imprese editoriali hanno proseguito l’azione di contenimento dei costi. Meno 7,5% nel 2010 e ancora un meno, 2,8%, nel 2011. Sull’entità dei costi grava in maniera poderosa l’aumento del costo della carta: oltre il 15%, una botta di quelle che tramortiscono sul posto nel momento in cui la ricevi. I conti economici delle aziende editoriali continuano a registrare una forte ripresa dell’incidenza del costo del lavoro. Trentuno virgola sei per cento nel 2010 e 35,1% nel 2012. Comunque la giri, oggi non esiste coperta in grado di dare un minimo di calore al settore gelato da numeri impietosi. Per i giornali è pieno inverno.
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