L’ambasciata italiana di Santo Domingo è stata chiusa con molta fretta. Perché? Il DPR 25 giugno 2014 ha sancito la chiusura della sede diplomatica. Il 31 dicembre del 2014 dopo meno di sei mesi, all’interno dei locali che avevano ospitato il consolato e l’ambasciata non esisteva più alcun mobile o apparecchiatura. Tutto era già stato donato o rimosso. Di lì a poco anche l’incartamento di oltre cento anni di attività consolare sarebbe partito per il Panama dove si trova tuttora. Si verificava uno smantellamento velocissimo della sede diplomatica con relativo trasferimento del personale che trovava sistemazione in altre sedi. Tutto a un tratto non c’era più niente! Oltre cento anni di storia svaniti nel nulla. E nessuna prospettiva concreta di continuità nell’erogazione dei servizi consolari. Missione compiuta! Viene da dire così perché la chiusura della nostra ambasciata ha tutta l’aria di essere stata un colpo di mano.
Se è vero che l’ordine dei fattori non cambia il prodotto, in questo caso l’algebra non c’entra e dovevano essere rispettate delle priorità. Prima che il consolato chiudesse i battenti avrebbero dovuto sussistere delle strutture per l’erogazione dei servizi consolari. La legge istitutiva della spending review prevede che i servizi vengano garantiti. Invece, la nostra sede diplomatica scomparve dalla sera alla mattina e per i servizi consolari venivamo indirizzati all’ambasciata italiana di Panama: un viaggio in aereo di 1.300 km! Una soluzione non accettabile nemmeno in via provvisoria. Ogni commento è superfluo.
Siamo stati di fatto abbandonati dallo stato italiano e privati di diritti che la costituzione ci riconosce. Evidentemente non c’è stato tempo per organizzare meglio il tutto e alla Farnesina non ci hanno pensato un attimo a violare la legge e la costituzione pur di far sparire la nostra ambasciata nei tempi più brevi possibili. La soluzione Panama non era e non è un’alternativa alla soluzione Italia dove pur sempre il cittadino italiano può recarsi se del caso con un foglio di via per sbrigare le sue pratiche anagrafiche.
Se si fosse data priorità all’erogazione dei servizi consolari, la nostra ambasciata sarebbe ancora aperta e prima ancora del verificarsi di un qualunque tipo di risparmio la Farnesina sarebbe incorsa in ingenti spese, il che sta avvenendo attualmente dopo 14 mesi senza che sussista ancora un vero e proprio ripristino della funzione consolare. Era evidente anche allora che con la chiusura della sede diplomatica di Santo Domingo non si sarebbe risparmiato nulla, perché rimanendo in essere una rilevante domanda di servizi consolari, questa non poteva essere soddisfatta con una struttura fortemente ridotta e geograficamente molto distante. Ma che la spending review in realtà nulla c’entra con la rimozione della nostra ambasciata lo sappiamo già.
Si deve dire che da un po’ di tempo in qua al Ministero degli Affari Esteri c’è gente con un approccio disinvolto nei confronti delle garanzie legali e costituzionali spettanti ai connazionali della diaspora e verso la strategia che ha sempre contraddistinto questo nostro importante ministero. L’estero veniva considerato un punto di forza sia per il Made in Italy, essendosi l’industria italiana sviluppata attraverso le esportazioni, sia perché la numerosa comunità di italiani sparpagliata nel mondo è stata sempre vista come un patrimonio attorno al quale fioriscono tutte quelle attività che sono legate alla nostra cultura e alla nostra tradizione e che producono reddito e quindi occupazione a livello nazionale e internazionale. Tutte cose di cui abbiamo fortemente bisogno.
Ma perché questa urgenza? Il risparmio non la giustifica, semmai la giustificherebbe il realizzo degli immobili adibiti a sede consolare e a residenza dell’ambasciatore, che sono di proprietà del demanio. Quindici milioni di euro! Soldi subito sull’unghia. Ce n’era forse bisogno? Servivano da qualche altra parte nel mondo, dove magari chi ha promosso la chiusura della nostra ambasciata è di casa? Africa o Cuba? Purtroppo però gli immobili non si possono vendere, furono donati da un italiano lungimirante. La donazione a suo tempo fu vincolata a una destinazione d’uso. Se gli immobili smettessero di essere utilizzati come sede diplomatica, dovrebbero tornare agli eredi, una delle famiglie più potenti del paese. Un obiettivo mancato, e non è improbabile che sia stato perseguito, visto il pressapochismo con cui si opera da un po’ di tempo in qua alla Farnesina.
Ma piuttosto che al realizzo immediato di immobili con la risultante liquidità da destinare chissà dove, il modo sbrigativo e frettoloso, noncurante delle esigenze di servizi consolari dei connazionali, con cui la sede diplomatica italiana di Santo Domingo venne smantellata, fa pensare quasi a una bomba da disinnescare quanto prima perché in qualunque momento poteva scoppiare. Che siano fondate le voci, giunte anche alle orecchie del senatore Cuomo, riguardanti presunte irregolarità commesse in Haiti da Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, durante la vigenza del suo mandato di ministro della cooperazione internazionale? Una bomba questa sì che avrebbe potuto scoppiare e proprio fra le mani dei pii sant’edigidini. Solo voci, certo. Noi ve le proponiamo come tali. Chi potrebbe oggi indagare? Missione compiuta? Beh, l’ambasciata è chiusa e chi volesse vedere le carte si dovrebbe tirare su le maniche e armare di tanta pazienza e buona volontà. Non sarebbe mica un’impresa facile.
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